
Un gruppo di ricercatori della Case Western Reserve University School of Medicine e dell’University Hospitals Health System è riuscito ad allungare artificialmente la vita di un verme nematode agendo su una proteina. Lo studio, pubblicato su Nature Communications, mostrerebbe dunque che organismi viventi con un quantitativo maggiore di una determinata proteina possono vivere più a lungo ed in maniera più sana rispetto ad altri organismi con un quantitativo minore.
Nella stessa ricerca è stato inoltre dimostrato che anche i topi con un quantitativo superiore di queste vitamine dimostravano vari effetti benefici tra cui il ritardo nella disfunzione dei vasi sanguigni, una caratteristica tipica dell’invecchiamento.
Si tratta di uno studio molto importante perché riguarda la possibilità futura di addivenire ad una piena comprensione dell’invecchiamento umano e, in generale, di disturbi che si possono associare all’avanzamento dell’età.
Nelson Hsieh, uno degli attori impegnati nella ricerca, dichiara: “Sappiamo che aumentando o diminuendo artificialmente i livelli di una famiglia di proteine chiamati Kruppel-like factors (KLF), possiamo effettivamente far sì che questi piccoli vermi (Caenorhabditis elegans, nell’immagine, ndr) vivano per periodi più lunghi o più brevi”.
La cosa interessante è che questa famiglia di proteine esiste anche nei mammiferi e dunque la possibilità che questa manipolazione possa funzionare anche sui mammiferi, e dunque anche sugli esseri umani, risulta perlomeno emozionante.
Nello specifico, i ricercatori hanno scoperto che le proteine KLF controllano l’autofagia cellulare, ossia il processo con il quale le cellule decompongono e sfruttano i propri componenti. Il venir meno del livello qualitativo di questo processo è uno dei segni distintivi dell’invecchiamento.
Fonti e approfondimenti
- Worms Reveal Secrets of Aging – CWRUMed360 News Releases – School of Medicine – Case Western Reserve University (IA)
- A conserved KLF-autophagy pathway modulates nematode lifespan and mammalian age-associated vascular dysfunction | Nature Communications (IA), doi:10.1038/s41467-017-00899-5
- Crediti immagine: Kbradnam