Un team di ricercatori, che ha pubblicato uno studio sul Journal of Neurology, Neurosurgery & Psychiatry, suggerisce che nella patologia dell’Alzheimer la genetica svolge un ruolo “moderato” per quanto riguarda l’accumulo di proteine amiloidi nel cervello (quella che è considerata la prima causa dell’Alzheimer stesso). Piuttosto sono anche i fattori ambientali ad avere un ruolo.
Tomografia a emissione di posizione o PET amiloide
Come spiega il comunicato del Centre for Healthy Brain Aging (CHeBA) dell’UNSW di Sydney,[1] Questo è il primo studio che ha usato una tecnica particolare, denominata tomografia a emissione di posizione o PET amiloide, per misurare le percentuali relative all’accumulo di proteine amiloidi nel cervello e quanto questo accumulo può essere determinato dai geni oppure da fattori ambientali o modificabili (ad esempio il colesterolo o l’ipertensione).[1]
Livello di ereditarietà dell’accumulo amiloide era moderato
I ricercatori hanno utilizzato questa tecnica sui gemelli. Questi ultimi, visto che condividono molto del loro materiale genetico, offrono l’opportunità uniche per capire l’importanza dei fattori genetici o quelli relativi allo stile di vita per l’Alzheimer.
I dati mostravano che il livello di ereditarietà dell’accumulo amiloide era moderato. I risultati suggeriscono, secondo i ricercatori, che i geni svolgono un ruolo moderato per quanto riguarda l’accumulo dell’amiloide all’interno del cervello.
Risultati significativi
Secondo Rebecca Koncz, l’autrice che ha condotto il team di studio, si tratta di risultati significativi: ci dicono che i geni sono importanti ma anche che c’è un contributo ambientale che determina l’accumulo delle proteine amiloidi.
Tuttavia sono necessari studi più ampi per capire quali sono i fattori di rischio ambientali e modificabili che giocano un ruolo più importante nella Alzheimer. In particolare scoprire i fattori di rischio modificabili che hanno un ruolo importante in questa malattia potrebbe permettere di abbassare il rischio di accumulo di proteina amiloide, spiegano i ricercatori.