
Secondo uno studio condotto dall’Università Nazionale e Kapodistriana di Atene, un farmaco antinfiammatorio approvato, l’anakinra, utilizzato per trattare l’artrite reumatoide, embra migliorare il livello di funzione respiratoria nei pazienti affetti da COVID-19.
Lo studio, pubblicato su Cell Host & Microbe, spiega come i ricercatori hanno analizzato otto pazienti che tra l’altro presentavano anche una patologia denominata linfoistiocitosi emofagocitica secondaria (sHLH).
Questa condizione vede una iperattivazione del sistema immunitario e insufficienza d’organo.
Uno di questi pazienti trattato con questo farmaco ha migliorato rapidamente le proprie condizioni ed è stato dimesso dall’ospedale nuovo giorni dopo dall’inizio del trattamento.
Evangelos J. Giamarellos-Bourboulis, professore di medicina della scuola medica della suddetta università, spiega: “Questi dati sostengono che la somministrazione di anakinra potrebbe essere un trattamento praticabile in gravi COVID-19 con sHLH, a supporto di studi clinici più ampi per convalidare questo concetto”.
La sHLH, conosciuta anche come sindrome da attivazione dei macrofagi, può essere causata dalla sovrapproduzione di interleuchina 1 (IL-1) e interleuchina 6 (IL-6) da parte dei macrofagi, le cellule immunitarie. L’anakinra inibisce l’IL-1 e riduce la mortalità dei pazienti con sHLH del 30%.
I ricercatori hanno voluto provare se questo farmaco era in grado di trattare efficacemente i pazienti con sHLH anche in caso di presenza di infezione di COVID-19 con polmonite.
Hanno testato questa terapia suo otto pazienti, di cui sette con insufficienza respiratoria, in terapia intensiva e con condizioni preesistenti tra cui malattie cardiache e ipertensione. Questi pazienti sono stati trattati con l’anakinra, somministrata per via endovenosa con 200 mg ogni otto ore per sette giorni. Contemporaneamente venivano trattati con idrossiclorochina e antibiotici ad ampio spettro.
Il trattamento con l’anakinra migliorava in generale le condizioni e diminuiva i segni di sHLH: migliorava la funzione respiratoria, cosa dimostrata da un passaggio dal 15 al 117% per quanto riguarda il rapporto tra ossigeno arterioso a pressione parziale e frazione di ossigeno ispirato.
Tre dei pazienti in terapia intensiva sono deceduti ma i ricercatori fanno notare che l’sHLH è caratterizzata da tassi di mortalità fino a 67%.
“Riteniamo che l’anakinra abbia il potenziale per migliorare i risultati nei pazienti con grave COVID-19”, spiega George Dimopoulos, primo autore dello studio. “Sono giustificati studi clinici più ampi per convalidare questi risultati e dimostrare l’utilità della terapia anti-IL-1 quando COVID-19 è complicato da sHLH.”
Approfondimenti
- Favorable anakinra responses in severe covid-19 patients with secondary hemophagocytic lymphohistiocytosis – ScienceDirect (IA) (DOI: 10.1016/j.chom.2020.05.007)