Una nuova app che può aiutare a capire il livello di gravità della malattia COVID-19, causata dal coronavirus SARS-CoV-2, tramite algoritmi di intelligenza artificiale e valutando vari biomarcatori è stata sviluppata da un team di ricercatori del College of Dentistry dell’Università di New York.
La produce un punteggio di gravità della malattia COVID-19 valutando i fattori di rischio e i biomarcatori chiavi provenienti dagli esami del sangue.
“L’identificazione e il monitoraggio di quelli a rischio per casi gravi potrebbe aiutare gli ospedali a dare priorità alle cure e allocare risorse come letti e ventilatori per terapia intensiva. Allo stesso modo, sapere chi è a basso rischio di complicanze potrebbe aiutare a ridurre i ricoveri ospedalieri mentre questi pazienti sono gestiti in sicurezza a casa”, spiega John T. McDevitt, un professore di biomateriali della NYU ed uno degli autori principale della ricerca.
I ricercatori, per creare l’app, hanno analizzato i dati di 160 pazienti con COVID-19 ricoverati in ospedale di Wuhan, in Cina. Hanno identificato in particolare quattro biomarcatori, ottenuti tramite gli esami del sangue: proteina C-reattiva (CRP), mioglobina (MYO), procalcitonina (PCT) e troponina cardiaca I (cTnI).
Proprio questi biomarcatori, secondo i ricercatori, possono essere usati per capire il livello di gravità o di complicazioni rilevanti nel contesto della malattia COVID-19.
Con questi quattro biomarcatori ed utilizzando vari altri fattori importanti, come l’età e il sesso, i ricercatori hanno addestrato un algoritmo di intelligenza artificiale basato sul machine learning sviluppando poi un nuovo algoritmo che è in grado di prevedere la gravità della COVID-19 producendo un punteggio numerico che può andare da 0 100. L’algoritmo è stato già utilizzato 12 pazienti ricoverati con COVID-19. L’algoritmo affibbiava i punteggi di gravità più alti a quei pazienti poi sono effettivamente deceduti rispetto a quelli che sono poi stati dimessi.
Il programma è poi stato trasformato in un app utilizzabile con un semplice dispositivo mobile come uno smartphone per rendere il tutto più utilizzabile anche dagli stessi operatori sanitari.
Lo studio è stato pubblicato su Lab on a Chip.