
La soia fermentata potrebbe rivelarsi utile per contrastare l’asma bronchiale, una patologia che, tra i sintomi, vede il respiro sibilante e la tosse, secondo un comunicato dell’Università della Città di Osaka.[1] I ricercatori della Scuola di Medicina, infatti, hanno realizzato un nuovo studio, apparso su Nutrients,[2] che si spiega che un particolare prodotto denominato ImmuBalance, fatto con semi di soia fermentati, può sopprimere l’infiammazione nelle vie aeree.[1]
Esperimenti su topi con asma
Sono i risultati che i ricercatori hanno conseguito eseguendo esperimenti su topi con asma. Ad alcuni topi è stato fornito mangime arricchito con ImmuBalance.
Proprio questi topi vedevano diversi netti miglioramenti rispetto ai topi del gruppo di controllo: una riduzione significativa dei livelli di eosinofili, globuli bianchi collegati all’asma nel fluido broncoalveolare, un livello più basso di infiammazione, un livello più basso del muco intorno ai bronchi e una soppressione di quelle proteine responsabili dell’infiammazione eosinofila.[1]
Soia e i suoi effetti antiallergici
Hideaki Kadotani, il primo autore della ricerca, spiega che il collegamento tra la soia e i suoi effetti antiallergici per alcune malattie allergiche è stata già trattata in passato da diversi studi. Anche i risultati raggiunti da quest’ultimo studio mostrano che la soia in effetti può avere effetti antiallergici.[1]
Fibra fermentata della soia corregge squilibri dei batteri intestinali?
Secondo il professore Kazuhisa Asai, altro autore dello studio, probabilmente la fibra fermentata che si trova nella soia tende a correggere gli squilibri nel microbioma intestinale e quindi può avere dei benefici sul sistema immunitario in relazione al contrasto alle malattie allergiche. Ciò dovrebbe valere anche per l’asma allergico.[1]
Asma: prodotti a base di soia fermentata consigliati?
“I nostri risultati suggeriscono che l’assunzione di prodotti a base di soia fermentata dovrebbe essere raccomandata come strategia complementare per affrontare l’asma con minori effetti collaterali”, spiega il professore Tomoya Kawaguchi, altro autore consulente dello studio.[1]