
Plastica prelevata dai rifiuti e usata per realizzare aroma di vaniglia: ne parla il Guardian[1] in relazione ad un nuovo studio apparso sulla rivista Green Chemistry.[2] il metodo si dipana in due fasi: durante la prima i ricercatori usano degli enzimi mutanti i quali scompongono il polimero di polietilene tereftalato, quello che di solito si usa per le bottiglie di plastica, in acido tereftalico (TA). In una seconda fase hanno poi usano batteri Escherichia coli geneticamente modificati per convertire, fino al 79%, questo acido in vaniglina (o vanillina) la molecola che è alla base dell’aroma della vaniglia.
La vaniglina è molto utilizzata non solo nell’industria alimentare ma anche quella cosmetica nonché in quella farmaceutica, in quella per la pulizia e nel settore della realizzazione degli erbicidi. La domanda è, proprio per l’utilizzo così disparato, in continua crescita e, secondo quanto rivela il Guardian, solo nel 2018 la domanda è stata di 37.000 tonnellate, una domanda che i produttori non riescono ad esaudire solo con la raccolta dei baccelli di vaniglia naturali. Per rispondere a questa grossa domanda, dunque, viene usata una vaniglina prodotta da sostanze chimiche a loro volta derivate da combustibili fossili.
In questo caso il vantaggio sta però nel riciclo dei rifiuti di plastica per realizzare quella che rimane una preziosa sostanza chimica a livello industriale, un vantaggio per l’ambiente e per l’economia circolare, come lascia intendere Joanna Sadler, ricercatrice dell’Università di Edimburgo che sta partecipando al progetto.
Gli scienziati ora vogliono modificare ulteriormente i batteri utilizzati nella seconda fase per rendere il processo di conversione ancora più efficiente e quindi per riutilizzare ancora più plastica. Gli stessi scienziati sono speranzosi del fatto che potrebbero essere ideate, con metodi simili, anche altre molecole che potrebbero essere utilizzate in altri settori industriali, ad esempio quello dei profumi.