
Un nuovo studio sulla caldera dei Campi Flegrei che ha analizzato il rumore sulla superficie terrestre è stato pubblicato su Nature Communications. I ricercatori riferiscono di aver utilizzato una nuova tecnica di imaging sviluppata dall’Osservatorio Vesuviano, dipartimento dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV-OV, Italia), e dell’Università Johannes Gutenberg di Magonza.
Il nuovo metodo si basa sull’analisi di fluidi profondi i quali possono provocare terremoti. La nuova tecnica, come spiega Simona Petrosino, ricercatrice dell’INGV, “segue” questi fluidi che non sono altro che un mix di gas e liquidi, nel corso del tempo e in varie finestre temporali.
Questi fluidi profondi possono interagire con altri rumori naturali, come quello del fondo dell’oceano e quello dell’attività atmosferica. Questi disturbi, se costantemente registrati dalle stazioni in superficie, possono offrire importanti informazioni sulla caldera e sulle onde nelle sue profondità. Le onde di rumore ambientale possono introdursi nella caldera con la loro normale direzione ma quest’ultima subisce delle modifiche quando raggiungono le faglie e il magma e, come riferiscono i ricercatori, la perdita di qualsiasi direzionalità può essere considerata come un segnale di attivazione.
Con questo metodo i ricercatori hanno analizzato i dati degli ultimi 10 anni e hanno scoperto che le strutture profonde della caldera dei campi Flegrei sono state caratterizzate da uno stress laterale e ciò sarebbe avvenuto per almeno quattro decenni.
Lo stress laterale della caldera sarebbe a sua volta causato da un’estensione della crosta e da altre cause come la pressione del magma nelle profondità nonché interazioni complesse tra i materiali del vulcano e la “pioggia” all’interno di esso.
Una perdita di direzionalità delle onde di rumore ambientale sembra essere occorsa nel 2018, un periodo durante il quale i fluidi profondi del vulcano sono arrivati a spingersi fino ai sistemi idrotermali meno profondi. Questi fenomeni sono quelli che hanno causato, probabilmente, i piccoli terremoti avvenuti alla fine del 2019.
I terremoti, come quelli occorsi nel 2019-2020, fa notare il professore De Siena dell’Università Johannes Gutenberg, sono provocati dai fluidi profondi che tendono a combinarsi con i fluidi delle piogge e ciò rende più permeabile la parte in superficie del vulcano.
Con questo nuovo metodo ora si potranno rilevare le migrazioni progressive dei fluidi verso l’area della caldera orientale, una struttura che subisce lo stress maggiore e che sembra fare da “barriera” per altre migrazioni verso est.