Cardiomiopatia dilatativa non ischemica, ricercatore scoprono mutazioni genetiche correlate

Nuove mutazioni genetiche coinvolte nella cardiomiopatia dilatativa non ischemica (NIDC) sono state scoperte da un gruppo di ricercatori dell’Intermountain Healthcare Heart Institute di Salt Lake City. Questa condizione è alla base dell’indebolimento del muscolo cardiaco che rende più difficile la circolazione del sangue proprio per la capacità di pompaggio ridotta. Ne consegue una dilatazione del ventricolo sinistro che è la camera di pompaggio principale.

Già in precedenza molti ricercatori hanno collegato questa condizione a fattori genetici tuttavia questo collegamento non è mai stato ben chiaro. Nel nuovo studio i ricercatori hanno scoperto 22 mutazioni in 229 pazienti in un gene denominato TITIN – 15 dopo aver realizzato un sequenziamento dell’intero esoma.
Si tratta di mutazioni del tipo “varianti troncanti” (TTN-tv) e sono collegate all’insorgere della cardiomiopatia e in generale dell’insufficienza cardiaca.

Jeffrey L. Anderson, l’autore principale dello studio nonché medico presso il succitato istituto, spiega: “Quello che pensiamo è che, in molti casi, le persone vanno avanti con una di queste mutazioni, ma poi entrano in gioco altri fattori ambientali e di stile di vita o di malattia che causano cardiomiopatia dilatativa non ischemica. Pensiamo che la cardiomiopatia dilatativa non ischemica sia il risultato, in molti casi, di una combinazione di fattori genetici predisponenti e fattori ambientali o di altra malattia”.

Attualmente non esiste un trattamento genetico per questa malattia e queste scoperte potrebbero essere di utilità per eventuali trattamenti con farmaci o almeno per un monitoraggio più efficace.

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