Cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, nuovo farmaco sperimentale migliora anomalie strutturali

Il nuovo farmaco sperimentale mavacamten sembra migliorare le anomalie strutturali che sono alla base della cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, secondo un nuovo studio che sarà presentato alla conferenza 2020 dell’American Heart Association. La cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva è una patologia caratterizzata dall’ispessimento del muscolo del cuore, cosa che non facilita il pompaggio del sangue attraverso l’organo. Può colpire fino ad una persona su 500 e di solito viene causata da problemi genetici all’interno dello stesso muscolo cardiaco.

Questi problemi portano la camera cardiaca, il ventricolo sinistro, a contrarsi più difficilmente e ad ispessirsi. Questo muro tra le due camere inferiori dell’organo si ispessisce sempre di più e ciò blocca e riduce il flusso del sangue.
I principali trattamenti della cardiomiopatia ipertrofica oggi tendono ad alleviare i sintomi tra cui la mancanza di respiro e il dolore al petto, soprattutto nei casi di sforzo fisico e di affaticamento. Tra gli altri sintomi c’è il ritmo cardiaco anormale, svenimenti, capogiri, gonfiore ai piedi, alle gambe e alle caviglie nonché all’addome e alle vene del collo.

In questo studio internazionale ricercatori hanno valutato l’efficacia del farmaco sperimentale mavacamten su alcuni adulti affetti da cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva sintomatica per un totale di 244 pazienti con un’età media di 58 anni. I ricercatori notavano che il farmaco sperimentale portava ad un miglioramento definito nel comunicato stampa come significativo nella riduzione dell’ostruzione per quanto riguarda il flusso di sangue attraverso il cuore rispetto al gruppo placebo.

“Il miglioramento delle caratteristiche ecocardiografiche chiave della cardiomiopatia ipertrofica supporta l’ipotesi che il mavacamten possa essere utilizzato come terapia specifica per la malattia, il che rappresenterebbe un progresso significativo nella terapia per questa popolazione”, spiega Sheila M. Hegde, specialista in medicina cardiovascolare del Brigham and Women’s Hospital nonché autrice principale dello studio.
Ulteriori studi forniranno ancora più informazioni sull’impatto che questo farmaco può avere a lungo termine sulla funzione cardiaca.

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