
Grazie a quello che viene definito come il primo topo geneticamente modificato per sviluppare la cirrosi,[1] un team di ricercatori dello CNIO, guidato da Nabil Djouder, descrive, in un nuovo studio pubblicato sul Journal of Hepatology,[2] i meccanismi molecolari che provocano questa malattia.
Meccanismi molecolari alla base della cirrosi
Come spiega lo stesso Djouder, capire quali sono i meccanismi molecolari che sono alla base della cirrosi potrà rivelarsi molto utile per capire come la malattia si sviluppa e provoca il cancro al fegato.
La cirrosi epatica è una patologia di cui conosciamo ancora relativamente poco proprio perché mancano modelli animali che possano essere d’aiuto per studi a livello molecolare.[1]
Topo geneticamente modificato
In questo caso i ricercatori sono riusciti a creare un topo geneticamente modificato i cui epatociti (le cellule del fegato) non esprimevano una particolare proteina denominata MCRS1. Questa proteina è coinvolta nel metabolismo e a diverse tipologie di cancro. Il topo modificato, i cui epatociti non esprimevano la MCRS1, sviluppava dei cambiamenti molto simili alla cirrosi epatica che si sviluppa negli esseri umani.[1]
Assenza della proteina MCRS1 nelle cellule del fegato
I ricercatori hanno scoperto che l’assenza della proteina MCRS1 nelle cellule del fegato cambiava il flusso degli acidi biliari e ciò provocava l’attivazione del recettore molecolare FXR all’interno di fibroblasti. Ciò innescava il processo che portava alla cirrosi.
Si tratta di informazioni che potrebbero essere molto importanti perché questa catena di eventi potrebbe essere presa di mira onde creare nuovi trattamenti per la cirrosi, come spiega Djouder.[1]
Buone speranze
Secondo Djouder è stata una sorpresa che apre buone speranze nei tentativi di studiare meccanismi molecolari della cirrosi umana e il suo avanzamento nonché la sua progressione verso il cancro al fegato. “Senza dubbio, la comprensione del motivo per cui la mancanza di MCRS1 negli epatociti causa la cirrosi ha svelato un processo precedentemente sconosciuto all’origine della malattia, che apre le porte allo sviluppo di nuove strategie farmacologiche”, spiega Amanda Garrido, uno degli autori principali dello studio insieme a Eunjeong Kim.[1]