COVID-19, condizione simile a sindrome di Kawasaki individuata soprattutto tra bambini di origine africana

Credito: smooveo, Pixabay, 5251013

Una sindrome collegata alla COVID-19 e simile a quella di Kawasaki che però sembra essere più comune tra i bambini di origine africana è stata descritta in un nuovo studio pubblicato su The BMJ. I ricercatori rilevano che i casi sono stati osservati anche in Italia, negli Stati Uniti nel Regno Unito.
Secondo i ricercatori, si tratterebbe di una “risposta mediata o ritardata” alla COVID-19 che si verificherebbe diverse settimane dopo il momento dell’infezione.

Le caratteristiche per le quali questa condizione differisce dalla sindrome di Kawasaki stanno perlopiù in una percentuale, definita come “insolitamente elevata”, di sintomi gastrointestinali tra cui dolore all’addome, vomito e diarrea. Inoltre questa nuova condizione presenta pressione sanguigna istabile nonché infiammazione del muscolo cardiaco.

Lo studio ha analizzato 21 bambini ed adolescenti con un’età media di 7,9 anni con caratteristiche simili a quelle della malattia di Kawasaki. I ragazzi erano stati ricoverati in ospedale di Parigi tra il 27 aprile e l’11 maggio 2020 e oltre la metà di essi (12) erano di origine africana.
17 di essi hanno dovuto far ricorso alla terapia intensiva ma tutti sono stati dimessi entro il 15 maggio 2020, dopo una media d iotto giorni di ospedale, e senza complicazioni gravi.

Si tratta di uno studio osservazionale con un piccolo numero di soggetti esaminati e quindi un nesso causale, anche con l’infezione da COVID-19, non può essere stabilito con sicurezza, tuttavia, come riferiscono gli stessi ricercatori, questa sindrome infiammatoria multisistemica, molto simile alla sindrome di Kawasaki, sembrerebbe essere più comune tra i bambini di origine africana.

“Questi risultati clinici dovrebbero suscitare un’alta vigilanza tra i medici di base e di emergenza e la preparazione durante la pandemia del coronavirus del 2019 in paesi con un’alta percentuale di bambini di origine africana e alti livelli di trasmissione comunitaria”, riferiscono i ricercatori.

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