Il tampone in gola di un bambino che era stato prelevato il 5 dicembre da un bambino ammalatosi di tosse e raffreddore a Milano è stato oggi di analizzato dai ricercatori che hanno scoperto che aveva il coronavirus SARS-CoV-2, quello responsabile della pandemia di COVID-19.
Il bambino, dell’età di quattro anni, aveva cominciato a mostrare i primi sintomi già il 21 dicembre del 2019 con tosse e raffreddore e già questi primi sintomi sembravano non indicare un comune malanno di stagione. La conferma si aveva quando, pochissimi giorni dopo, la pelle del bambino cominciava a riempirsi di bollicine, cosa che aveva poi fatto sospettare ai medici che poteva trattarsi di morbillo.
Il bambino comunque guarisce e il tampone viene conservato in un freezer a -80° in un laboratorio dell’Università di Milano nel contesto di un progetto per tenere sotto controllo la diffusione del morbillo.
A quasi un anno di distanza L’Analisi indicano che in quel tampone c’era già il nuovo coronavirus.
Si tratta, come rileva Repubblica, di un tappone più sicuro delle stesse analisi del sangue. Queste ultime possono infatti rilevare solo gli anticorpi ma con questo metodo a volte possono capitare falsi positivi. Con il tampone in gola, invece, si rileva direttamente l’RNA del virus.
In ogni caso per essere più sicuri, come spiegano Elisabetta Tanzi e Antonella Amendola, le ricercatrici che hanno effettuato l’analisi, sono state analizzate anche tutte le basi di una porzione del suo RNA per scoprire che, al 100%, si trattava del nuovo coronavirus.
E non si tratta di un caso di contaminazione di laboratorio, assicura Mario Raviglione, uno degli autori dello studio che ha descritto in dettaglio i risultati di queste nuove analisi, anche perché il laboratorio dove è stato conservato il tampone praticamente stato chiuso a marzo a causa del lockdown e non è stato mai coinvolto in analisi di tamponi COVID.
Lo stesso Raviglione lascia intendere che, in fin dei conti, non ci sarebbe neanche troppo da meravigliarsi: l’esplosione che abbiamo avuto a febbraio e marzo in Italia risulta “perfettamente compatibile” con un’infezione già in circolazione da settimane o anche da mesi.
Gli stessi ricercatori spiegano che la famiglia del bambino, che ha avuto i primi sintomi il 21 novembre e che quindi deve essersi contagiato quattro o cinque giorni prima, non avevano viaggiato e questo significa che il virus era presente nel settentrione d’Italia già a metà novembre, probabilmente in molti casi confuso con i sintomi dell’influenza.