Un gene che si trova tre volte più spesso nelle persone infettate dal virus SARS-CoV-2 ma che poi si mostrano asintomatiche rispetto a quelle che invece mostrano i sintomi della malattia è stato scoperto da un team di ricercatori dell’Università di Newcastle.[1]
Potrebbe essere la prima prova di un collegamento a livello genetico che potrebbe spiegare perché alcune persone pur infettate dal virus della COVID-19 perché non si ammalino.
Il gene in questione, denominato HLA-DRB1*04:01, suggerisce che le persone che lo possiedono possano avere un certo livello di protezione dai sintomi gravi della COVID-19.
I ricercatori hanno eseguito un confronto dei dati relativi a varie persone (49 pazienti con Covid grave, 69 operatori ospedalieri risultati asintomatici e un gruppo di controllo) infettate dal nuovo coronavirus, alcune asintomatiche ed altre che hanno invece sviluppato Covid grave (ma che non avevano altre patologie di base).[1]
I campioni sono stati prelevati dall’area nord-est dell’Inghilterra durante il primo lockdown. Proprio per questo secondo i ricercatori ulteriori studi saranno necessari per eseguire analisi di campioni più ampi sia a livello geografico che, molto probabilmente, anche a livello numerico.[1]
I ricercatori si sono concentrati, usando un sequenziamento di nuova generazione che permette analisi in dettaglio e su larga scala, in particolare sui geni HLA (Human Leukocyte Antigens, antigene leucocitario umano), un sistema di geni che codificano quelle proteine che si trovano sulla superficie cellulare e che hanno un ruolo per quanto riguarda la regolazione del sistema immunitario.[3]
Si sapeva già che il gene DRB1*04:01 è più diffuso negli esseri umani che vengono dal nord e dall’ovest dell’Europa. Secondo Carlos Echevarria del Translational and Clinical Research Institute, Università di Newcastle, uno degli autori dello studio, si tratta di una scoperta importante in quanto potrebbe fornire la spiegazione riguardo al mistero della asintomaticità in alcuni gruppi di individui (che comunque continuano ad essere vettori) rispetto ad altri nel contesto della pandemia da COVID-19 in corso.[1]
La relazione tra la frequenza di un gene nel corpo di un essere umano e la longitudine e latitudine entro le quali quella stessa persona vive era una cosa nota già da tempo, come lascia intendere David Langton, uno dei responsabili della società ExplantLab che ha contribuito al finanziamento dello studio. Secondo Langton, per esempio, è cosa già nota che l’incidenza della sclerosi multipla può aumentare con l’aumentare della latitudine. Questo può essere in parte spiegabile con un’esposizione ridotta ai raggi ultravioletti e quindi con livelli più bassi di vitamina D. [1]
Secondo Langton, in ogni caso, questo studio e i risultati conseguiti mettono in evidenza la complessa interazione tra ambiente, genetica e malattie.