Credere che la vita sia un’illusione non diminuisce le paure esistenziali

Nonostante possa sembrare controintuitivo, secondo una ricerca apparsa su Cognitive Science le paure esistenziali ed essenzialmente la paura della morte risultano ancora terrificanti anche se si è convinti fermamente che la vita sia un’illusione in quanto transitoria. Alla conclusione i ricercatori sono arrivati eseguendo uno studio sui buddisti tibetani. Il buddismo è un principio filosofico secondo cui il sé è in realtà un’illusione. A seguito di questa affermazione, risulterebbe dunque lecito pensare che, se il sé non esiste, non ha senso temere la fine di se stessi.

Lo studio, condotto da Shaun Nichols dell’università dell’Arizona ed altri suoi colleghi, si è basato sui questionari posti a centinaia di monaci buddisti tibetani in esilio nei monasteri di Byalkuppe e Mundhod, in India, nonché ad altri buddisti tibetani del Bhutan, a persone indù indiane, a cristiani americani, ad atei e a laici tibetani.
I ricercatori riferiscono, con non poco stupore, che la paura dell’annientamento di se stessi, essenzialmente la paura della morte della morte, risultava molto intensa tra i monaci buddisti e che addirittura questi ultimi risultavano meno disposti, rispetto agli altri gruppi di cui sopra, a sacrificare anni della propria esistenza per favorire uno sconosciuto.

Inoltre i buddisti intervistati credevano nella vita dopo la morte, parimenti alle altre persone intervistate che professavano un credo religioso, quindi la paura dell’ignoto dopo la morte non poteva risultare un motivo che spiegasse la loro paura di morire più intensa.
Secondo Nina Strohminger dell’Università della Pennsylvania, una delle autrici della ricerca, questi sono stati i risultati più bizzarri ed inaspettati della sua carriera.

Gli stessi autori, però, ammettono che la maggior parte dei monaci buddisti intervistati non era rappresentata da medidatori di lunga data, con molti anni di pratica buddhista alle spalle, nonostante quelli intervistati ammettessero di meditare ogni giorno. Dovrebbe essere dunque molto più interessante eseguire la stessa ricerca prendendo in considerazione meditatori buddisti “esperti”, di di lunga data, per verificare se i risultati possano essere sempre gli stessi.

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1 Commento

  1. Mi dispiace ma non è proprio così, si tratta di malintesi. Riporto un breve testo molto autorevole e poi il link relatico:
    3. “There is no self.”
    This is the other Big Lie. The one time the Buddha was asked point-blank if there is or isn’t a self, he refused to answer (Samyutta Nikaya 44.10). In Majjhima Nikaya (the “Middle-Length Discourses” of the Buddha) 2 he stated that the views “I have a self” and “I have no self” are both a thicket of views that leave you stuck in suffering. When the Buddha taught not-self (anatta) — as opposed to no self — he was recommending a strategy for overcoming attachment, a way of cutting through the mind’s tendency to cling to things by claiming them as “me” or “mine.”

    The Buddha never said that “There is no separate self” either. He declined to get involved in the issue of whether any kind of self exists or doesn’t exist.
    (Il Buddha non ha mai detto che “Non esiste un sé separato”. Ha rifiutato di essere coinvolto nella questione se esiste un qualche tipo di sé o che non esiste.)

    http://www.lionsroar.com/what-the-buddha-never-said/

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