Diversità genetica degli italiani cominciò a svilupparsi 19.000 anni fa dopo fase fredda

La notevole diversità genetica degli italiani, che è la più alta in Europa, è iniziata poco dopo la fine di un periodo di clima molto freddo durato circa 6000-7000 anni e finito all’incirca 19.000-20.000 anni fa (ultimo massimo glaciale). Si tratta di un periodo durante il quale si ebbe l’espansione massima dei ghiacci che si formarono nel contesto dell’ultima glaciazione (115.000-11.700 anni fa).
È quanto riporta un nuovo studio condotto da ricercatori dell’Università di Bologna pubblicato su BMC Biology.

I risultati dello studio sembrano mostrare che le diversità genetica, ad esempio quelle delle persone che vivono al Nord e quelle delle persone che vivono al sud dell’Italia, si sarebbero evolute in risposta agli ambienti diversi.
Si tratta di peculiarità che si sono evolute a livello genetico per ridurre il rischio di malattie quali l’infiammazione renale, il tumore della pelle, il diabete e l’obesità.

I ricercatori hanno analizzato l’intero genoma di 40 soggetti selezionati per rappresentare al meglio la variabilità biologica degli italiani, naturalmente con un certo livello di approssimazione.
L’analisi evidenziava 17 milioni di varianti genetiche. I ricercatori hanno poi queste varianti con quelle di altre 35 popolazioni dell’Europa e del Mediterraneo nonché di quelle ritrovate su 600 resti di umani vissuti tra 40.000 e 4000 anni fa.
Hanno quindi tracciato la storia evolutiva di due gruppi posti alle estremità del gradiente di variabilità genetica degli italiani.

“Osserviamo alcune tendenze demografiche parzialmente sovrapposte tra gli antenati di questi due gruppi di 30.000 anni fa e per i restanti anni del Paleolitico superiore”, spiega Stefania Sarno, ricercatrice dell’Università di Bologna e una delle autrici dello studio. “Tuttavia, abbiamo osservato una variazione significativa tra i loro pool genetici dal periodo tardo glaciale, quindi alcune migliaia di anni prima di quelle grandi migrazioni avvenute in Italia dal Neolitico in poi.”

L’ipotesi principale è che le popolazioni che si rifugiarono nelle aree meridionali dell’Italia a causa del periodo freddo, quando il freddo cominciò a finire, cominciarono a spostarsi più a nord isolandosi, in maniera progressiva, dalle popolazioni che invece restarono al sud.
Gli italiani delle aree settentrionali, infatti, presentano relazioni genetiche con resti umani di antiche culture europee come quella magdaleniana (19.000-14.000 anni fa) e quella epigravettiana (14.000-9000 anni fa).

Inoltre, nel corredo genetico degli italiani settentrionali, i ricercatori hanno scoperto relazioni anche con i profili genetici di popolazioni dell’Europa orientale che poi migrarono verso occidente proprio per rifugiarsi dal freddo.
Tra gli italiani meridionali, invece, non sono quasi presenti questi profili genetici di popolazioni che hanno effettuato queste migrazioni glaciali e post glaciali. I meridionali, infatti, presentano relazioni genetiche più strette con gli umani neolitici dell’Anatolia e del Medio Oriente e con popoli dell’età del bronzo del Caucaso meridionale.

I ricercatori hanno inoltre scoperto che le genti del settentrione dell’Italia hanno sviluppato un metabolismo che risulta ottimizzato per diete ricche di calorie e grassi animali, più importanti per sopravvivere climi freddi.

“Nei soggetti del nord Italia, abbiamo osservato cambiamenti nelle reti geniche che regolano la produzione di insulina e calore corporeo, nonché in quelli responsabili del metabolismo dei tessuti adiposi”, spiega Paolo Garagnani, professore di medicina sperimentale e fisiopatologia dell’Università di Bologna. “Questi cambiamenti potrebbero aver portato a fattori chiave che riducono la suscettibilità a malattie come il diabete e l’obesità”.
Le popolazioni del meridione, invece, mostrano profili genetici che codificano maggiormente le mucine, proteine delle mucose nei sistemi respiratorie gastrointestinali che contrastano i patogeni.

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