Ecco come l’inquinamento delle centrali a carbone può ostruire polmoni

Un nuovo esperimento condotto da un professore del Virginia-Maryland College of Veterinary Medicine conferma che bruciare il carbone può causare gravi danni ai polmoni. Nello specifico i ricercatori hanno condotto esperimenti sui topi esponendo questi ultimi a ceneri o fumi di carbone bruciato.

Irving Coy Allen, insieme ai colleghi di vari altri istituti americani e di un’università a Shanghai, ha scoperto che particelle molto piccole di ossido di titanio possono rivelarsi altamente tossiche. Queste particelle sarebbero presenti nella cenere e nel fumo del carbone bruciato.
I danni ai polmoni di topi si verificavano anche dopo una singola esposizione mentre i danni a lungo termine si verificavano in sole sei settimane di esposizione.

Le attuali centrali che lavorano il carbone dispongono di filtri molto complessi per evitare la maggior parte delle emissioni nell’atmosfera delle nanoparticelle che seguono alla combustione del carbone.
Tuttavia quando questi filtri non sono presenti o non sono efficienti, queste particelle possono espandersi nell’aria ed entrare facilmente nei polmoni.

Sono soprattutto le particelle più piccole, conosciute come nanoparticelle di subossido di titanio, a preoccupare maggiormente gli scienziati.
Si tratta di particelle piccolissime, che raggiungono un diametro di 100 milionesimi di un metro. Una volta entrate nei polmoni, si imbattono nei macrofagi, le cellule difensive che dovrebbero contrastare proprio le particelle estranee.

Contro queste particelle, così piccole, i macrofagi vanno in difficoltà. Non possono scomporle e iniziano a morire, un processo che porta ad un reclutamento maggiore di macrofagi.
Presto comincia un feedback per il quale, dopo ogni giro, si creano masse di cellule macrofagi morte o morenti che si concentrano intorno alle nanoparticelle, come spiega lo stesso Allen. Si vengono a creare veri e propri depositi i quali sono alla base di problemi di natura ostruttiva in quanto non permettono più ai polmoni di funzionare correttamente.

Si tratta di una “scoperta sorprendente”, come la definisce lo stesso Allen, e di un fenomeno che avviene già dopo una sola esposizione. E anche dopo lunghi periodi di tempo, questi accumuli restano nei polmoni.
Un fenomeno che, naturalmente, solleva preoccupazioni per l’inquinamento cittadino prodotto dalle centrali che lavorano il carbone.

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