
Livelli di carbonio nell’aria da record sono stati registrati nel 2018 a causa dell’aumento della domanda di combustibili fossili negli Stati Uniti e in Asia secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (AIE). Rispetto al 2017 vi è stato infatti un aumento dell’1,7% di anidride carbonica nell’aria che ha raggiunto il limite di 33,1 gigatoni.
Ancora una volta, dunque, si registra un notevole aumento delle emissioni globali di CO2 sia nel 2017 che nel 2018, ossia i due anni conseguenti all’accordo di Parigi, un accordo che dovrebbe prevedere una riduzione delle emissioni, entro il 2025, dal 26 al 28%.
L’aumento delle emissioni è da ricercare nella crescita economica statunitense e in quella asiatica che ha portato ad un aumento del consumo di energia (quest’ultima è infatti è aumentata di 2,3% nel 2018, un aumento considerabile come doppio rispetto al tasso di crescita medio annuo dal 2010).
Il consumo di energia è stato infatti soddisfatto in gran parte da combustibili fossili (per il 70%): i consumi globali di gas naturale sono aumentati del 4,6%, quelli del carbone sono aumentati dello 0,7% e quelli delpetrolio sono aumentati dell’1,3%. La parte del leone l’hanno fatta la Cina, gli Stati Uniti e l’India che, insieme, hanno rappresentato il 70% di tutta la domanda di energia e, considerando solo le emissioni, l’85% dell’aumento netto.
Negli Stati Uniti vi è stata una riduzione del consumo di carbone, riduzione però ampiamente compensata dall’aumento della produzione e del consumo di petrolio e gas naturale. In particolare la domanda del gas naturale, solo negli Stati Uniti, è aumentata di ben il 10%, un aumento che da solo è equivalente al consumo di gas in tutto il Regno Unito.
Dati del genere fanno chiaramente comprendere quanto gli sforzi di altri paesi possano risultare inutili se nazioni guida, nel contesto della produzione e del consumo di combustibili fossili, come gli Stati Uniti, la Cina e l’India, non compiono alcun progresso in termini di diminuzioni delle emissioni globali.