
È come un gatto che si morde la coda: la perdita di depositi artici di permafrost dovuta all’erosione delle coste artiche intensifica il riscaldamento globale. È questo il risultato di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Alfred Wegener per la ricerca marina e polare (AWI).
Secondo la ricerca, la perdita del permafrost Artico avvenuta alla fine dell’ultimo periodo glaciale portò ad aumenti ripetuti ed improvvisi riguardanti la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera. Ciò, naturalmente, provocò l’aumento della temperatura globale.
Si tratta, inoltre, di un’ennesima conferma del fatto che la diffusione di biossido di carbonio nell’atmosfera non è causata solo dell’attività umane ma anche da fenomeni naturali.
Il processo vuole, però, che l’aumento delle temperature che comunque stiamo provocando sul pianeta, aumenti anche questo stesso fenomeno naturale (con l’innalzamento del livello marino) dando il via ad una reazione a catena.
Lo studio, apparso su Nature Communications, ha trovato prove di questo fenomeno nelle regioni di permafrost artico lungo la costa del Mare di Okhotsk nella Russia orientale. Diverse migliaia di anni fa (nello specifico 11.500, 14.600 e 16.500 anni fa), infatti, grosse quantità di anidride carbonica si diffusero nell’atmosfera rilasciate proprio a causa dell’erosione, più o meno improvvisa, del permafrost artico.
Quest’ultimo, non essendo più congelato, cominciò a rilasciare enormi quantità di biomassa morta, soprattutto piante morte. Questa biomassa divenne poi preda dei batteri i cui metabolismi sono responsabili del rilascio di gas serra, soprattutto anidride carbonica e metano.
Fonti e approfondimenti
- Coastal erosion in the Arctic intensifies global warming (IA)
- Deglacial mobilization of pre-aged terrestrial carbon from degrading permafrost | Nature Communications (DOI: 10.1038/s41467-018-06080-w) (IA)