Il fumo di terza mano è rappresentato dall’assimilazione o dal contatto con quelle sostanze presenti nelle sigarette fumate e nei prodotti del tabacco utilizzati che avviene dopo che queste ultime si sono depositate nell’ambiente, soprattutto su oggetti fatti di stoffa e vestiti. Queste sostanze possono provenire sia dal fumo ispirato che dalle particelle che possono disperdersi dalla punta accesa delle stesse sigarette.
Molti studi, negli ultimi anni, hanno sottolineato quanto possa essere pericoloso e spesso paragonabile, in termini di danno apportato al corpo umano, anche al fumo passivo.
Un nuovo studio, condotto da ricercatori dell’università della California a Riverside, mostra che queste sostanze chimiche possono essere eliminate dagli oggetti comuni che ci sono in casa più facilmente dove c’è un livello di umidità più alto. Lo spiega , in un comunicato emesso dalla stessa UC Riverside ,[1] Prue Talbot , professoressa di biologia cellulare che ha realizzato lo studio pubblicato sull’ International Journal of Environmental Research and Public Health.[2]
Sfruttando il metodo dell’auto fluorescenza, ossia dell’emissione naturale della luce di alcune delle sostanze presenti nel tabacco fumato e nel particolato del fumo stesso , i ricercatori hanno analizzato gli effetti sui tessuti e sulle superfici domestiche più comuni accorgendosi che la rimozione delle sostanze stesse può essere più o meno facile a seconda del tessuto/superficie che le ha assorbite e a seconda del livello di umidità presente nell’ambiente. Ad esempio in condizioni di maggiore umidità le sostanze residue delle sigarette fumate diventano più facilmente removibili da superfici fatte di poliestere. Inoltre gli esperimenti hanno certificato che tessuti come cotone o spugna possono trattenere, e poi rilasciare nell’ambiente, concentrazioni di nicotina più elevate rispetto alle superfici fatte di poliestere o di lana.