Con il riscaldamento globale in corso ci saranno notevoli problemi per quanto riguarda la produttività lavorativa, soprattutto di quelle persone che lavorano all’aperto o in locali non adeguatamente provvisti di aria condizionata o di sistemi di ventilazione secondo l’economista ambientale Patrick Behrer che rilascia alcune dichiarazioni in un interessante articolo apparso sul sito dell’Università di Harvard (vedi il primo collegamento più sotto).
Il ricercatore si basa su previsioni secondo le quali il numero dei giorni molto caldi sarà molto più grande in futuro.
Il ricercatore si rifà ad un esempio: con un aumento della temperatura di soli 2 gradi Fahrenheit nella città di Boston si passerebbe da una media di 52° ad una media di 54 °F. Non sembrerebbe uno spostamento “catastrofico” ma in effetti questo “piccolo” aumento sarebbe collegato ad un aumento notevole del numero dei giorni estremamente caldi, giorni durante i quali è notoriamente più difficile eseguire degli sforzi o in generale essere più attivi.
“Quando inizi a passare da otto giorni estremamente caldi a 50 giorni estremamente caldi” in un anno, allora gli effetti cominciano a farsi sentire anche per quanto riguarda il reddito medio annuale di una famiglia o di un’azienda, lascia intendere il ricercatore.
Quello dell’impatto sulla produttività dei lavoratori è un aspetto quasi mai preso in considerazione quando si parla di riscaldamento in globale e degli impatti drammatici che quest’ultimo può avere.
Si citano, infatti, molto spesso gli impatti sull’ambiente, come quelli che potrebbero avere tempeste più frequenti più violente oppure inondazioni o innalzamenti dei livelli del mare, ma quasi mai si parla di produttività quotidiana dei lavoratori che, in fin dei conti, è alla base della nostra stessa economia e quindi della nostra società.
“Non ci lavorerei”, riferisce Behrer, “se non pensassi che fosse un enorme, enorme problema”.