
Un team di ricercatori del Center for Astrophysics, Harvard e Smithsonian, ha voluto mappare le sostanze chimiche che si trovano all’interno dei cosiddetti “vivai planetari” raggiungendo dettagli che, nel comunicato emesso dallo stesso istituto, vengono definiti come “straordinari”.
Le mappe realizzate dai ricercatori mostrano le posizioni, e altre caratteristiche, di diverse dozzine di molecole in cinque dischi protoplanetari. Lo studio sarà pubblicato anche sull’Astrophysical Journal Supplement, per il momento si trova su arXiv.
Che cos’è un disco protoplanetario
Un disco protoplanetario è un disco di gas, polveri ed altri materiali che gira vorticosamente intorno ad una stella (si crede sia il risultato proprio dei materiali “di scarto” che sono andati a formare la stella). Da questi dischi, secondo la teoria più accettata, si formano anche i pianeti tramite l’aggregazione dettata dalla gravità. Gli scienziati hanno già scoperto che in questi dischi ci sono tantissime tipologie di molecole organiche e questo è un fatto interessante perché si pensa che la vita si sia originata sulla Terra proprio a partire da queste molecole organiche.
“Zuppe” diverse di molecole e ingredienti vari
Secondo Karin Öberg, astronoma del CfA che ha guidato il team di studio, ciò è “davvero eccitante”. Queste sostanze, infatti, vanno poi ad influenzare la composizione del pianeta stesso e quindi studiando i dischi protoplanetari e creando una mappa delle stesse sostanze organiche nel disco, in un certo senso, si potrebbe già capire quale tipo di pianeta uscirà fuori da una determinata zona del disco.
I ricercatori descrivono i dischi protoplanetari come “zuppe” diverse di molecole e ingredienti vari e ognuna di queste zuppe va a formare un pianeta diverso.
Due pianeti dello stesso sistema possono essere molto diversi
A seconda della posizione del disco del pianeta in formazione, esso può aggregare molecole molto diverse tra loro secondo i risultati conseguiti da Öberg e colleghi. Ecco perché due pianeti dello stesso sistema, che si sono formati dallo stesso disco protoplanetario, possono essere molto diversi tra loro, cosa che notiamo anche nel nostro sistema solare.
In base a queste informazioni un pianeta può dunque avere un certo livello di predisposizione all’origine della vita rispetto ad un altro, come spiega la stessa Öberg.
Quantità enorme di dati da trattare
Si è trattato di uno studio difficile: i ricercatori hanno raccolto i dati dell’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA) del 2018 e del 2019, più di 100 terabyte che hanno richiesto più di due anni per l’analisi e per la suddivisione in mappe delle molecole.
Charles Law, studente laureato al CfA che ha guidato lo studio, spiega che “comprendere la chimica che si verifica anche in un singolo disco è molto più complicato di quanto pensassimo”.