Il sale fa male? Solo se si superano i 5 grammi al giorno

Il consumo di sale non aumenterebbe i rischi per la salute a patto che non si superino i 5 grammi al giorno, ossia circa 2,5 cucchiaini di sale. A questa conclusione è giunto uno studio, pubblicato su The Lancet, il quale mostra anche che le persone nei paesi sviluppati che superano questo livello sono meno del 5%.[1]

Si tratta dunque di una ricerca che tende ad abbassare i pericoli legati al sale per quanto riguarda l’alimentazione, pericoli molto spesso sottolineati a livello divulgativo tanto che sono diverse le persone che hanno del tutto rinunciato a questo alimento, eliminandolo completamente dalla propria dieta.[1]

Lo studio si è avvalso delle analisi dei comportamenti alimentari e dei livelli di salute di 94.000 persone con un’età compresa tra i 35 e i 70 anni. Lo studio ha preso in esame comportamenti e livelli di salute nel corso di otto anni di soggetti provenienti da 18 nazioni del mondo.
Secondo lo studio, il rischio di malattie cardiovascolari o di ictus diveniva concreto solo quando l’assunzione abitudinaria diventava superiore ai 5 g al giorno.

Sempre secondo lo studio, l’unico paese, tra quelli presi in considerazione durante la ricerca, in cui l’80% della popolazione assimila quantità di sodio oltre i 5 g al giorno è la Cina. Negli altri paesi, il consumo medio andava dai 3 ai 5 g al giorno (equivalenti a una quantità tra 1,5 e 2,5 cucchiaini di sodio al giorno).

Secondo Andrew Mente, primo autore dello studio, “L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di consumare meno di 2 grammi di sodio – si tratta di un cucchiaino di sale – al giorno come misura preventiva contro le malattie cardiovascolari, ma ci sono poche prove in termini di miglioramento della salute raggiunti dalle persone ad un livello basso”.[1]

Fonti e approfondimenti

  1. Pass the salt: Study finds average consumption safe for heart health
  2. Urinary sodium excretion, blood pressure, cardiovascular disease, and mortality: a community-level prospective epidemiological cohort study – The Lancet (DOI: 10.1016/S0140-6736(18)31376-X) (IA)
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