Inquinamento atmosferico riduce produzione di sperma nei topi

Le minuscole particelle causate dall’inquinamento dell’aria, il cosiddetto particolato, possono contribuire all’infertilità e ad una ridotta produzione di spermatozoi nei topi.
I risultati della ricerca, presentati oggi 25 marzo all’incontro annuale della Endocrine Society a New Orleans, mostrano dunque che anche l’inquinamento atmosferico può essere inserito tra i principali fattori dell’infertilità maschile.

Effetti del particolato sul sistema endocrino

I ricercatori hanno analizzato in particolare gli effetti del particolato (PM), una miscela di particelle solide e goccioline liquide che si trovano nell’aria il cui numero può aumentare grandemente a seguito dell’inquinamento atmosferico, sulla produzione degli spermatozoi. Ancor di più nello specifico, i ricercatori hanno analizzato il PM2.5, una piccolissima particella presente nell’aria che è facilmente inabile e che ha un diametro di 2,5 micrometri o anche inferiore (un pelo medio umano ha un diametro di 70 micrometri).
Questa particella, già conosciuta e studiata in passato, può influenzare negativamente il sistema endocrino non solo negli esseri umani ma anche negli animali. Il sistema endocrino è a sua volta coinvolto nella produzione dello sperma.

Esperimenti sui topi

Lo studio ha analizzato gli effetti di questa particella sui topi. Dopo aver esposto i topi a PM2,5 e dopo aver analizzato il loro DNA, i ricercatori scoprivano che lo sperma prodotto dai topi mostrava forti segni di deterioramento se confrontato con quello dei topi non esposti al particolato. Si tratta di cambiamenti epigenetici causati a loro volta da cambiamenti nella sequenza del DNA.

Inquinamento atmosferico promuove infertilità maschile?

La ricerca, dunque, suggerisce che forse anche negli esseri umani l’esposizione all’inquinamento atmosferico, soprattutto quello caratterizzato dalla presenza di particelle molto fini e sottili, può danneggiare la produzione di spermatozoi tramite cambiamenti genetici, come sottolinea anche Elaine Maria Frade Costa, ricercatrice dell’Università di San Paolo, Brasile, ed autrice principale dello studio.

Fonti e approfondimenti

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