
Se pensate che l’inquinamento atmosferico sia un fenomeno che riguardi solo gli spazi all’aria aperta probabilmente siete in errore: secondo un nuovo studio condotto da ricercatori del King’s College di Londra, pubblicato su Environment International, le concentrazioni di particelle fini (PM2.5) risultano maggiori per chi prende la metropolitana rispetto a chi utilizza altri mezzi di trasporto come la bicicletta, l’auto o l’autobus.
Indossando particolari zaini dotati di dispositivi per misurare livelli di particolato nell’aria, i ricercatori hanno confrontato i risultati prelevati in aree aperte a Londra quali Oxford Street o Hyde Park con quelli delle piattaforme di attesa di varie stazioni della metropolitana di Londra.
Scoprivano che le concentrazioni di PM2,5 nella sotterraneo della stazione erano 15 volte maggiori rispetto agli ambienti sulla superficie, comprese le strade con traffico veicolare.
Le stesse concentrazioni variavano però tra stazione e stazione e da posizione in posizione. La stazione con gli indici più alti era quella di Victoria mentre quelle con gli indici più bassi erano quelle della Docklands Light Railway e della District Line.
Le concentrazioni medie registrate sui treni risultavano poi maggiori delle concentrazioni medie registrate da diversi studi in città notoriamente inquinate quali Pechino, Guangzhou, Città del Messico, New York, Seoul, Taipei, Barcellona, Sydney e Los Angeles.
Secondo i ricercatori, un pendolarismo tipico giornaliero può dunque costituire una significativa esposizione alle particelle PM2.5, un’esposizione che può avere effetti negativi sul corpo e che può aumentare il rischio di patologie quali quelle legate a malattie cardiache, ictus, cancro ai polmoni e alcune malattie polmonari ostruttive croniche.
Considerando che solo la metropolitana di Londra vanta un traffico di 2,8 milioni di passeggeri ogni giorno, questi dati fanno più che riflettere.
Approfondimenti
- New study reveals high levels of pollution on London Underground (IA)
- PM2.5 sulla metropolitana di Londra – ScienceDirect (IA) (DOI: 10.1016/j.envint.2019.105188)
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