La maggior parte delle interfacce cervello computer (Brain-computer interfaces, BCI) si basa sul funzionamento secondo il quale l’utente deve immaginare o pensare l’esecuzione di un determinato compito, ad esempio un movimento.
I segnali elettrici che si sviluppano solo pensando questa azione vengono poi catturati dal dispositivo e utilizzati per innescare un’azione in un dispositivo informatico o medico come una protesi.
Secondo un nuovo studio condotto da ricercatori del Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences di Lipsia, dell’università pubblica di Navarre e della TU di Berlino, però, dopo una sola ora di utilizzo di una interfaccia cervello-computer si verificano nel cervello dei “cambiamenti significativi” e si hanno delle ripercussioni sulla struttura neuronale e sulle funzioni del cervello.
I ricercatori hanno analizzato l’influenza che possono avere sul cervello dei topi due diverse tipologie di BCI: un gruppo di roditori doveva immaginare di muovere le zampe anteriori o posteriori e ciò richiedeva l’utilizzo dell’area del cervello dedicata ai movimenti.
Il secondo gruppo di topi doveva invece riconoscere e selezionare delle lettere su uno schermo, un compito che richiedeva l’utilizzo dell’area relativa al centro visivo nel cervello.
I ricercatori notavano che i topi ottenevano dei buoni risultati fin dall’inizio per quanto riguardava il compito visivo mentre per quanto concerneva il compito motorio quest’ultimo richiedeva più pratica e in generale dimostrava più complesso.
Ma soprattutto i test mostravano cambiamenti strutturali in quelle regioni del cervello utilizzate per volgere quei determinati compiti nel cervello dei topi. Questi cambiamenti si verificavano entro un’ora dall’utilizzo della BCI e non in giorni o settimane che è di solito il tempo impiegato affinché questi stessi cambiamenti avvengano con un allenamento di tipo fisico e reale.
“Non è ancora chiaro se questi cambiamenti si verificherebbero anche se i soggetti del test non ricevessero tramite il sistema BCI un feedback sul fatto che i loro segnali cerebrali possono essere letti con successo”, dichiara Till Nierhaus, uno dei ricercatori impegnati nello studio.
Secondo Arno Villringer, direttore del dipartimento di neurologia dell’MPI, questi impatti con le BCI potrebbero essere usati per trattare le aree del cervello colpite da ictus.