
Le stelle più antiche, e quindi quelle più lontane da noi, potrebbero essere scoperte in futuro con una nuova tecnica che si basa sul rilevamento di segnali radio molto deboli secondo quanto spiega un nuovo articolo di Space.com. La tecnica viene descritta in un nuovo studio e si basa sul concetto della firma di una particolare radiazione elettromagnetica conosciuta come “linea a 21 cm” (21-centimeter). Lo studio è stato pubblicato su Nature Astronomy.[1]
La linea a 21 cm
Si tratta di una radiazione emessa ad una particolare lunghezza d’onda tramite la quale il giovane universo è stato “riempito” di luce nel corso della sua infanzia, sostanzialmente nel corso delle prime centinaia di migliaia di anni a seguito del Big Bang.
Si tratta di un segnale molto debole, almeno 120.000 volte più debole dei segnali radio che vengono emessi nello spazio, per esempio, dalla via Lattea.
Quando si sono formate le prime stelle
Lera Acedo, uno dei ricercatori impegnati nello studio, spiega che durante l’universo primordiale il cosmo era praticamente vuoto ed era fatto solo di elio e di idrogeno. Questi elementi, comunque, alla fine si sono uniti, a causa della gravità, e, con la fusione nucleare, si sono formate le primissime stelle. Queste stelle primordiali intorno a loro avevano però grosse quantità di idrogeno neutro. Si tratta di un gas che assorbe la luce e che risulta quindi difficile da osservare.
Differenza dalle osservazioni effettuate con il James Webb
Il metodo è diverso da quello utilizzato dal telescopio spaziale James Webb che osserva alla lunghezza d’onda dell’infrarosso e che pure fornirà risultati che sicuramente impressioneranno nel corso dei prossimi anni in relazione agli oggetti primordiali dell’universo.
Implicazioni potrebbero essere “enormi” secondo scienziati
Il nuovo metodo radioastronomico, la cui ideazione è avvenuta nel contesto del progetto Radio Experiment for the Analysis of Cosmic Hydrogen (REACH), si basa su un esperimento fatto recentemente. Questo esperimento aveva suggerito che la linea a 21 cm potrebbe realtà non esistere perché lo stesso esperimento non è stato replicabile. Tuttavia, come spiega Acedo, se si riesce a confermare che il segnale carpito nel corso di quell’esperimento proviene davvero delle primissime stelle dell’universo “le implicazioni sarebbero enormi”.
Un rilevamento sfuggente
A tal proposito verranno realizzate nuove misurazioni con i radiotelescopi nel deserto del Karoo, in Sudafrica. I ricercatori, come ammette Dirk de Villiers, un radioastronomo dell’Università di Stellenbosch in Sud Africa e autore dello studio, hanno profonda fiducia nel fatto che il segnale che acquisiranno proviene proprio dalle primissime stelle dell’universo, un rilevamento sfuggente che nessuno è riuscito a fare fino ad ora.
Note e approfondimenti
- The REACH radiometer for detecting the 21-cm hydrogen signal from redshift z ≈ 7.5–28 | Nature Astronomy (DOI: 10.1038/s41550-022-01709-9)