
Quantità definite come “notevoli” di particelle e microscarti rilasciati dai pneumatici dei veicoli sono stati ritrovati nell’ambiente marino secondo uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Plymouth.
Gli scarti che si staccano dagli pneumatici dei veicoli, che poi vanno via via “degradandosi” fino a diventare unità sempre più piccole, non erano stati quasi mai considerati per quanto riguarda l’enorme problema dell’inquinamento da microplastiche, men che meno per quel che concerne l’ambiente marino.
E invece queste tipologie di scarti sembrano essere una fonte primaria di inquinamento del mare e a livello globale, una cosa che coinvolge, giusto per comprendere la portata del fenomeno, anche gli oceani profondi dell’Artico.
Le particelle degli pneumatici, una volta diventate di una dimensione abbastanza piccola, cominciano ad essere trasportate dal vento e quindi, attraverso l’atmosfera, nei fiumi e nelle fognature e da qui nel mare, oppure negli oceani direttamente se trattasi di comunità costiere.
I ricercatori dell’Università inglese hanno calcolato che nel solo Regno Unito sarebbero circa 100 i milioni di metri quadrati di rete fluviale e più di 50 i milioni di metri quadrati di estuari e acque costiere contaminate da particelle di pneumatici.
“Questo studio ci offre una visione reale dell’importanza dell’usura dei pneumatici come fonte di microplastiche. Tuttavia ci sono ancora molte incognite e rispetto ad altre forme di microplastiche abbiamo sapere relativamente poco delle particelle di usura degli pneumatici, quindi è importante continuare ad adottare misure per ridurre le emissioni di fonti meglio comprese come le fibre dei tessuti e la frammentazione di oggetti più grandi”, spiega Richard Thompson.
Si profila, dunque, un nuovo “fronte di battaglia” per tutte le istituzioni e i governi che vorranno contrastare il fenomeno di inquinamento della plastica e la sensazione è che non basterà di certo limitare la vendita di sacchetti di plastica o delle cannucce per ottenere risultati seri.
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