
Un nuovo studio sottolinea ancora una volta i grossi pericoli derivanti dalle cosiddetta “microplastiche”, che inquinano il nostro ambiente e che rappresentano un problema per tutta la catena alimentare, compresa quella degli esseri umani.
Stavolta lo studio, pubblicato sul Journal of Water Research, si concentra sulle microplastiche presenti negli impianti di trattamento delle acque e delle acque reflue.
Il team di ricercatori, guidato da Judy Lee e Marie Enfrin del Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università del Surrey, conferma non solo che le microplastiche tendono a frantumarsi in pezzi sempre più piccoli e quindi a diventare sempre più impercettibili e parallelamente sempre più letali, ma anche che le stesse possono ridurre le prestazioni degli impianti di trattamento dell’acqua.
Questo di conseguenza incide sulla qualità dell’acqua che beviamo o sulla qualità dell’acqua che, dopo i trattamenti specifici, riversiamo nei fiumi o nel mare.
È la stessa Lee a rimarcare la gravità del problema parlando di una grossa sfida ambientale che gli esseri umani si devono porre onde risolvere, almeno in parte, questo problema.
La questione principale è legata proprio alle piccole dimensioni delle microplastiche, così piccole che in taluni casi si può parlare di “nanoplastiche”.
Con dimensioni così piccole possono entrare facilmente nei sistemi digestivi degli animali e da lì entrare sostanzialmente nella catena alimentare.
Inoltre, essendo così piccole, possono creare grossi problemi anche per quanto riguarda i processi di trattamento delle acque, sia quelle reflue che quelle per l’utilizzo domestico. Particelle così piccole, infatti, possono ostruire le unità di filtrazione e accelerare l’usura degli strumenti utilizzati nella depurazione abbassando notevolmente il livello di qualità di tutto il processo.
Approfondimenti
- Nano/microplastics in water and wastewater treatment processes – Origin, impact and potential solutions – ScienceDirect (IA) (DOI: 10.1016/j.watres.2019.06.049)
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