
Sappiamo che le cosiddette microplastiche sono più o meno dappertutto negli ambienti naturali e possono trovarsi anche nei corpi degli animali di cui ci cibiamo. Dunque sappiamo che queste particelle di natura plastica possono essere presenti anche nel nostro corpo. Ed è proprio per questo che un team di ricercatori ha deciso di esaminare la quantità di microplastiche presenti negli organi e nei tessuti umani ottenendo risultati forse prevedibili ma che non risultano per questo meno preoccupanti.
In effetti gli studi che hanno cercato queste piccolissime particelle di plastica all’interno del corpo umano sono abbastanza pochi nonostante siano invece tantissimi quelli che li hanno individuati dappertutto, in ogni ambiente naturale esistente sulla Terra e all’interno dei corpi di pesci e altri animali.
I ricercatori hanno cercato anche le “nanoplastiche”, ossia pezzettini di plastica le cui dimensioni sono ancora più piccole rispetto a quelli delle cosiddette microplastiche. Se per queste ultime il diametro deve essere inferiore a 5 mm per essere definite tali, per le nanoplastiche il diametro deve scendere a 0,001 mm. Parliamo dunque di particelle che, per essere individuate, necessitano di un approccio ben diverso rispetto a quelli più classici per individuare le microplastiche.
I ricercatori Charles Rolsky e Varun Kelkar hanno collaborato con Diego Mastroeni per ottenere vari campioni di tessuti del corpo umano, da quelli del cervello fino a quelli di varie parti del corpo tra cui polmoni, milza, fegato e reni. Tramite una procedura spettrometrica μ-Raman e un particolare software per computer, i ricercatori hanno individuato dozzine di tipologie di plastica all’interno dei tessuti analizzati, in tutti i campioni.
Tra queste ultime scoprivano presenza di policarbonato, polietilene tereftalato e polietilene.
Hanno inoltre trovato del bisfenolo A, una sostanza chimica ancora oggi utilizzata in molti contenitori per gli alimenti nonostante sia stato accertato dagli studi scientifici il fatto che crea problemi alla salute.
“Non vogliamo mai essere allarmisti, ma è preoccupante che questi materiali non biodegradabili che sono presenti ovunque possano entrare e accumularsi nei tessuti umani, e non conosciamo i possibili effetti sulla salute”, spiega Kelkar il quale aggiunge che c’è bisogno di ulteriori studi ed analisi di tipo epidemiologico per capire l’impatto di queste componenti estranee sulla salute umana.