
Un’interessante scoperta è stata effettuata da una biogeochimica dell’Università Statale dello Utah, Janice Brahney: le microplastiche trasportate attraverso l’atmosfera dal vento possono giungere anche in aree remote e selvagge ed inquinano finanche i parchi nazionali degli Stati Uniti.
Secondo la ricercatrice, durante vere e proprie “tempeste” che si svolgono nei centri abitati, fino ad un quarto di questi microscopici pezzi di plastica, che possono provenire anche dai vestiti, si mettono in viaggio il raggiungono altre località abitate o anche i luoghi più remoti.
“Abbiamo creato qualcosa che non scomparirà”, dichiara la stessa ricercatrice relazione al fatto che la plastica non è biodegradabile e che comincia a scomparire solo dopo diverse centinaia di anni se non migliaia di anni. Si tratta di un ricircolo oramai globale di microscopici pezzi di plastica che a centinaia di miliardi viaggiano in tutto il mondo.
La ricercatrice ha analizzato campioni di polveri raccolte dall’atmosfera da varie stazioni meteorologiche in varie località degli Stati Uniti di solito utilizzate per campionare l’acqua piovana.
Tra i campioni analizzato anche quelli provenienti da 11 aree remote degli Stati Uniti occidentali, tra cui il Grand Canyon e il Joshua Tree National Park. Anche in questi campioni erano presenti notevoli quantità di microplastiche, alcune anche dai colori vivaci, qualcosa che ha scioccato la stessa ricercatrice. Parliamo di piccoli pezzettini grandi meno di un terzo della larghezza di un capello umano.
Tra di essi c’erano anche pezzettini provenienti da fibre di vestiti, tappeti ed altre tipologie di tessuti mentre altri erano rappresentati da minuscole sfere colorate, probabilmente componenti di vernici rilasciate nell’atmosfera durante i processi di verniciatura a spruzzo.
Alla fine ha calcolato ogni giorno 132 pezzi di microplastiche cadono su ogni metro quadrato di deserto.
Si tratta di un quantitativo che aggiunge, tra l’altro, più di 1000 tonnellate di plastica all’anno all’interno dei parchi nazionali delle aree protette degli Stati Uniti occidentali, oltre alla classica plastica risultante dall’inquinamento in loco, ad esempio le bottiglie di plastica dei turisti.
La ricercatrice inoltre ha utilizzato complessi modelli meteorologici per identificare i percorsi delle “tempeste” che permettono alle microplastiche di fare questi grossi spostamenti. Ad esempio si è accorta che la maggior parte delle microplastiche presenti nel Parco Nazionale delle Montagne Rocciose proveniva dall’area di Denver.
Ha inoltre compreso che più forti erano i venti delle tempeste, più grandi erano i pezzi di plastica sollevati e trasportati.