Nuova interfaccia neuronale è più sottile e flessibile e può funzionare con migliaia di elettrodi

Una nuova interfaccia cerebrale ultrasottile e flessibile con migliaia di piccoli e minuscoli elettrodi che può essere innestata nel cervello e qui restare per un massimo di sei anni è stata sviluppata da un team di ricerca capitanato da Jonathan Viventi, ingegnere biomedico della Duke University.
Come riferisce il comunicato stampa, questo dispositivo migliora il periodo di “vita” delle attuali interfacce cervello-macchina. Queste ultime, nonostante i grossi progressi fatti nel campo che hanno rimpicciolito sempre di più elettrodi e componenti, hanno infatti sempre sofferto di un difetto: non possono restare per molto tempo nel cervello a causa dei materiali utilizzati che tendono a degradarsi.

Nel relativo studio, pubblicato su Science Translational Medicine, Viventi e colleghi spiegano come hanno utilizzato il biossido di silicio per creare un involucro del dispositivo meno spesso e più affidabile. Lo hanno già testato sul cervello dei topi e il materiale stesso si degradava di soli 0,46 nanometri al giorno.
Il materiale stesso è naturalmente biocompatibile e anche se si degrada non può causare danni al cervello. Non è conduttivo ma gli elettrodi possono rilevare l’attività neurale tramite un fenomeno denominato “rilevamento capacitivo”, il fenomeno che sta dietro la tecnologia del touchscreen.

Hanno anche aumentato di molto la durata dell’interfaccia: sul topo è durata più di un anno con i suoi 64 elettrodi impiantati sulla superficie del cervello.
L’approccio, inoltre, è scalabile: ciò vuol dire che con lo stesso sistema può essere creata un’interfaccia neuronale con molti più elettrodi, più di mille secondo i ricercatori, tanto che l’hanno testato anche sulla corteccia cerebrale delle scimmie e anche in questo caso sono riusciti a rilevare i segnali cerebrali mentre svolgevano dei compiti.

Attualmente ci sono dei problemi relativi al “rumore di fondo”, disturbi causati da imperfezioni dell’elettronica, imperfezioni però che gli stessi ricercatori si ripromettono di aggiustare in quanto facilmente risolvibili.
I ricercatori credono che questo dispositivo possa funzionare anche con elettrodi penetranti, ossia elettrodi posizionati in profondità nel tessuto cerebrale. Con un numero di elettrodi sufficienti (si immaginano dispositivi con milioni di minuscoli elettrodi), potrebbe essere possibile acquisire quantità di informazioni sufficienti anche per quanto riguarda il cervello umano. Si tratta, tra l’altro, dello stesso approccio adottato da Neuralink, il dispositivo cervello-macchina sviluppato da Elon Musk tanto discusso nei mesi passati.

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