
L’universo è immenso e anche con i migliori telescopi spaziali non si riesce che a coprire che una parte infinitesimamente piccola dell’arco celeste e, in generale, dell’universo osservabile dal nostro punto di vista.
Di solito, quando si lancia una missione osservativa, per esempio, con il telescopio spaziale Hubble, le regioni analizzate sono solo una piccola frazione delle dimensioni angolari della regione del cielo occupata dalla luna piena, giusto per fare un esempio.
Il problema sta nella cosiddetta “varianza cosmica” che ci porta ad una certa incertezza statistica riguardo a come l’universo è fatto sulle distanze più lunghe.
È proprio per questo che astronomi e ricercatori cercano di lanciare campagne di osservazione quanto più varie possibili.
Un’altra nuova campagna sarà presto lanciata. Denominata Beyond Ultra-Deep Frontier Fields And Legacy Observations (BUFFALO), vedrà l’utilizzo del telescopio Hubble per l’osservazione di varie regioni adiacenti a vari ammassi di galassie che precedentemente erano stati individuati e fotografati da altri telescopi nel contesto del programma Frontier.
Gli astronomi cercheranno di individuare le galassie “primordiali”, ossia quelle formatesi meno di 800 milioni di anni dopo il big bang, sostanzialmente alcune tra le prime galassie dell’universo.
Si tratta in particolare di sei ammassi di galassie che verranno utilizzati come “telescopi naturali” in quanto permetteranno di amplificare, tramite l’effetto noto come microlensing, previsto tra l’altro dalla teoria della relatività, la luce proveniente da oggetti (principalmente altre galassie) poste dietro questi ammassi, dal nostro punto di vista.
Grazie alla loro massa, composta principalmente di materia oscura, potremmo dunque osservare altri ammassi o altre galassie che resterebbero altrimenti nascoste alla nostra vista perché troppo lontane o troppo poco luminose.
Fonti e approfondimenti
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