
Lo stile di vita può cambiare il microbioma intestinale, una sorta di ecosistema di batteri esistenti nel nostro intestino che possono avere vari ruoli e che possono essere un supporto anche per il nostro sistema immunitario.
Lo conferma un nuovo studio, apparso su Cell Host & Microbe e condotto da ricercatori dell’Università di Trento e dell’Eurac di Bolzano che si sono rifatti soprattutto alle analisi dei resti di Ötzi, resti umani ritrovati nel 1991 sulle Alpi appartenuti ad un uomo vissuto tra il 3300 e il 3100 a.C.
Esaminando i campioni dell’intestino dei resti di Ötzi, i ricercatori hanno avuto la conferma che esiste una connessione tra i batteri del microbioma e il cambiamento dello stile di vita che oggi contraddistingue soprattutto il mondo occidentale. In particolare il collegamento esiste tra i batteri e l’aumento di condizioni quali l’obesità, le malattie autoimmuni e gastrointestinali, le allergie ed altre condizioni complesse.
Nel comunicato stampa che presenta lo studio si parla di un “processo di occidentalizzazione” che ha apportato profondi cambiamenti nella nostra dieta e che ha fatto sì che oggi i cibi siano molto più ricchi di grassi e più poveri di fibre.
Questo, unito ad uno stile di vita più sedentario e allo sviluppo di nuove abitudini igieniche nonché di prodotti medici di varia natura, pur rendendo la nostra vita più sicura ha influito profondamente sul nostro microbioma.
I ricercatori hanno analizzato in particolare il Prevotella copri, un batterio intestinale. Nicola Segata, uno degli autori principale dello studio insieme ad Adrian Tett del CIBio dell’Università di Trento, spiega che hanno innanzitutto scoperto che non è una sola specie. Il batterio, infatti, fa parte di quattro specie diverse.
In seguito hanno scoperto che tre di esse si erano sempre trovate nei microbiomi delle popolazioni non-occidentalizzate piuttosto che in quelle occidentalizzate. Quando Il batterio si trova negli intestini delle popolazioni occidentalizzate, di solito è di una sola specie, cosa che naturalmente va a danno della diversificazione.
I ricercatori hanno dunque pensato che lo stesso fenomeno di “occidentalizzazione ” delle nostre abitudini, soprattutto alimentari, abbia procurato la diminuzione della diversificazione di questo batterio nei nostri intestini, cosa che probabilmente è successa anche per altre specie di batteri non analizzate dai ricercatori .
Questa stessa ipotesi, secondo Segata, è supportata dalle analisi che gli stessi ricercatori hanno effettuato su DNA antichi, cosa che è stata possibile con una collaborazione con l’Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research. In particolare analizzando l’intestino di Ötzi i ricercatori si accorgevano che tre delle specie di questo batterio erano presenti nel suo intestino.
Questa presenza multipla tra l’altro può essere individuata anche in vari campioni di feci fossilizzate risalenti ad oltre mille anni fa e ritrovate in Messico.
Ora l’unica cosa da comprendere è a quali conseguenze può portare questa diminuzione della diversificazione dei batteri nostri intestini e in generale le modifiche del nostro bioma intestinale che si stanno verificando negli ultimi secoli considerando anche che lo stesso corpo umano sostanzialmente non è mai cambiato a livello genetico nel corso dello stesso periodo.