Di solito chi riceve un trapianto d’organo poi deve prendere farmaci immunosoppressori in modo che il sistema immunitario non attacchi i tessuti del nuovo organo. Tuttavia in alcuni casi i sistemi immunitari, nonostante l’utilizzo di farmaci, continuano a rifiutare l’organo donato. Un nuovo studio, come spiega un nuovo comunicato dell’Università di Chicago, mostra che a ricoprire un ruolo importante sono anche i batteri dell’organo trapiantato.[1] Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Clinical Investigation.[2]
Problema risiede anche nel riconoscimento dei batteri dell’organo trapiantato
Maria-Luisa Alegre, una professoressa di medicina alla UChicago nonché autrice senior dello studio, spiega che il problema non risiede solo nel riconoscimento dei tessuti dell’organo trapiantato, da parte delle cellule del sistema immunitario, ma anche in quello dei batteri presenti nello stesso organo.
Ogni persona ha un suo proprio microbioma
Alegre spiega che i batteri dell’organo trapiantato sono diversi dai batteri presenti nel corpo del ricevente in quanto ogni persona ha un suo proprio microbioma che può essere considerato come “unico”. Il corpo ricevente, dunque, vede i batteri dell’organo trapiantato come “estranei”. “Abbiamo pensato che forse queste due risposte immunitarie separate (ospite-contro-trapianto e ospite-contro-batteri) potessero funzionare in modo additivo o sinergico per creare una risposta immunitaria più robusta contro l’innesto e spiegare perché l’emivita degli organi che hanno i microbi è più breve”, spiega la ricercatrice.
Esperimenti su topi
I ricercatori hanno svolto esperimenti su topi sterili (senza microbi nel loro corpo). Hanno effettuato trapianti di pelle tra topi geneticamente identici. Quando i trapianti avvenivano tra topi senza batteri, la risposta immunitaria che danneggiava l’innesto cutaneo non avveniva.
Staphylococcus epidermidis
I ricercatori hanno dunque provato a infettare i topi riceventi con il batterio Staphylococcus epidermidis, un batterio comune della pelle, prima di fare il trapianto. In questo modo il sistema immunitario dei topi riceventi “memorizzava” i nuovi batteri prima del trapianto. Quando poi ricevevano l’innesto cutaneo con batteri simili, la risposta immunitaria del ricevente era molto più forte. Inoltre effettuando lo stesso esperimento di trapianto di pelle con topi geneticamente diversi e colonizzati dai batteri (per simulare ciò che avviene con i normali trapianti di organi tra gli umani) i ricercatori notavano che i farmaci immunosoppressori non funzionavano nei topi i cui sistemi immunitari avevano prima “memorizzato” il batterio. “Questo spiega perché quando si trapianta un polmone o un intestino, i pazienti stanno meno bene e devono ricevere livelli di immunosoppressione più elevati rispetto a quando si trapiantano organi sterili”, spiega la Alegre. Secondo la ricercatrice bisogna combattere non solo la normale risposta immunitaria del corpo contro l’organo trapiantato ma anche quella contro i batteri che risiedono in esso.[1]