A seguito di nuove analisi di reperti ritrovati nel sito di Castel di Guido, in Italia, un team di ricercatori mostra che i primi ominidi di quest’area, già 400.000 anni fa, usavano le ossa degli elefanti per produrre in serie strumenti diversi, alcuni dei quali con metodi molto sofisticati, metodi che sarebbero diventati comuni solo almeno 100.000 anni dopo.
La varietà e la definizione delle forme di questi strumenti hanno sorpreso gli stessi ricercatori, come lascia intendere Paola Villa dell’Università del Colorado Boulder, una delle ricercatrici del team che ha effettuato le analisi. I risultati sono stati pubblicati su PLOS ONE.
Una catena di montaggio primitiva
Si crede che in quest’area una volta vivessero degli enormi elefanti alti 4 m denominati Palaeoloxodon antiquus, detti anche elefanti dalle zanne dritte. I gruppi di ominidi che vivevano intorno all’area dell’odierna Castel di Guido, evidentemente, hanno saputo fare ottimo uso delle ossa di questi animali morti mettendo in piedi una vera e propria produzione in serie di oggetti standardizzati, una sorta di catena di montaggio primitiva.
Si credeva che quella di produrre strumenti in serie, con un livello di dettaglio simile, fosse un’abilità sviluppatasi solo molto tempo dopo, come spiega Villa.
Probabilmente erano Neandertal
Secondo la ricercatrice gli ominidi in questione erano i Neandertal. Proprio 400.000 anni fa, infatti, i neandertaliani cominciarono a diffondersi in maniera più massiccia in molte zone d’Europa e tra queste aree c’era anche quella dell’odierna Castel di Guido, una zona di Roma poco lontana dal centro.
Il sito in questione ha visto gli scavi andare avanti dal 1979 al 1991. In totale Villa e colleghi hanno esaminato 98 strumenti ossei. Si tratta dell’analisi del quantitativo più alto di strumenti ossei realizzati da ominidi premoderni mai descritti fino ad ora in uno studio scientifico.
Strumenti di varie forme e di varie funzioni
Alcuni di essi erano strumenti molto appuntiti, probabilmente usati per tagliare le carni. Altri avevano una forma a cuneo, probabilmente usati per dividere ossa più grandi o più lunghe. Lo strumento più interessante, però, è quello fatto di ossa di bovino selvatico.
Si tratta di una sorta di “lissoir”, uno strumento usato per levigare, diventato comune solo 300.000 anni fa. Probabilmente questo gruppo di ominidi usava questo tipo di strumento per trattare le pelli animali.
Luogo frequentato da molti elefanti
Questo gruppo era dunque più intelligente degli altri allora presenti in altre parti d’Italia ed Europa? Probabilmente no. Secondo i ricercatori evidentemente quest’area era povera in termini di selce naturale e quindi questi gruppi dovettero adattarsi ad usare quello che l’ambiente offriva loro in misura maggiore, in questo caso ossa di elefanti morti.
Questi ultimi probabilmente affollavano questa zona in quanto c’erano importanti risorse d’acqua, veri e propri abbeveratoi che sostentavano gli animali. Diversi di essi morivano periodicamente per cause naturali e le loro ossa venivano sistematicamente trovate dai gruppi di ominidi i quali capirono presto come usarle.
Note e approfondimenti
- Elephant bones for the Middle Pleistocene toolmaker (IA) (DOI: 10.1371/journal.pone.0256090)