
Un gene che potrebbe essere usato per contrastare efficacemente il morbo di Parkinson è stato l’oggetto di un nuovo studio condotto dai ricercatori del laboratorio di Emi Nagoshi, un professore del Dipartimento di Genetica ed Evoluzione della Facoltà di Scienze dell’UNIGE.
I ricercatori si sono concentrati sul gene Fer2 eseguendo esperimenti sui moscerini della frutta (drosofile).
Gene Fer2
Il gene omologo negli esseri umani, infatti, sembra essere molto importante nel contesto del morbo di Parkinson in quanto codifica una particolare proteina che a sua volta controlla l’espressione di diversi altri geni. La mutazione di questo gene potrebbe essere una delle cause dello stesso morbo di Parkinson anche se i meccanismi, come ammette il comunicato dell’Università di Ginevra che presenta lo studio, non sono ancora molto chiari.[1]
Mutazione di questo gene può provocare carenze simili a quelle del Parkinson
Già in un precedente studio gli stessi ricercatori avevano scoperto che una particolare mutazione di questo gene può provocare carenze simili a quelle del Parkinson nei moscerini e tra queste carezze c’era anche un certo ritardo quando si inizia movimento. In particolare avevano scoperto delle malformazioni nei mitocondri dei neuroni dopaminergici che risultavano molto simili a quelle dei soggetti umani con il Parkinson.[1]
L’esperimento con i moscerini
I ricercatori hanno aumentato la quantità del gene Fer2 nelle cellule dei moscerini. I risultati mostravano che quando gli stessi moscerini venivano esposti radicali liberi, le cellule andavano incontro ad un certo livello di stress ossidativo. Ciò portava alla degradazione dei neuroni dopaminergici. Tuttavia un eccesso di Fer2 non portava più ad effetti negativi.[1]
Geni regolati da Fer2 sembrano avere un ruolo nelle funzioni di mitocondri
Federico Miozzo, il primo autore dello studio, spiega che i geni regolati da Fer2 sembrano avere un ruolo nelle funzioni di mitocondri e che quindi questo gene e relativa proteina potrebbero avere un ruolo molto importante nella stessa degenerazione dei neuroni dopaminergici sia per quanto riguarda la loro struttura sia per ciò che concerne le funzioni.[1]
Esperimenti anche sui topi
Ora i ricercatori stanno effettuando esperimenti simili anche nei topi per capire se gli effetti occorrono anche nei mammiferi. Se si rivelasse lo stesso effetto protettivo anche nei mammiferi si potrebbe ottenere, spiega Nagoshi, un nuovo bersaglio terapeutico per il Parkinson anche per quanto riguarda gli umani.[1]