
Pelle di maiale modificata geneticamente per chiudere la ferita di una persona: è questo l’obiettivo raggiunto, per la prima volta nella storia degli xenotrapianti, dai dottori del Massachusetts General Hospital (MGH). La riuscita di questa procedura mostra che il tessuto derivante da animali trattato geneticamente può essere usato con successo per chiudere una ferita umana.
Spesso quando si devono chiudere le ferite profonde provocate da ustioni si fa ricorso alla pelle prelevata dai cadaveri collocata nelle cosiddette “banche dei tessuti” che conservano e rendono accessibili i tessuti umani destinati ai trapianti.
Tuttavia la pelle proveniente dai cadaveri, così come ogni altro tessuto o organo umano, può essere soggetta a carenza o lo stesso processo può rivelarsi molto costoso o proibitivo in determinati contesti.
La pelle proveniente da altri esseri umani risulta però molto utile perché, dopo il trapianto, concede al paziente il tempo necessario affinché la ferita possa rimanere protetta e possa stabilizzarsi in attesa di un trapianto con pelle prelevata dal corpo dello stesso paziente.
Per ovviare ai problemi relativi all’accessibilità delle banche dei tessuti, la XenoTherapeutics e l’MGH hanno avviato una collaborazione per innestare su umani tessuti di suini vivi. Questi suini vengono modificati geneticamente con la rimozione di uno specifico gene che non è presente nell’uomo. Ciò permette alla pelle del maiale di apparire meno “estranea” e dunque meno attaccabile dalla sistema immunitario del paziente.
In questo primo xenotrapianto, i medici hanno posizionato sulla ferita ustionata del paziente un pezzo di pelle di maiale da 5 × 5 cm affiancato da un pezzo di pelle da cadavere più grande. Dopo cinque giorni i medici rimuovevano i pezzi di pelle scoprendo che entrambi gli innesti cutanei avevano aderito bene alla ferita sottostante e anzi mostravano di essere indistinguibili l’uno dall’altro.
In seguito la ferita è stata trattata di nuovo con un ulteriore pezzo di pelle prelevata dalla coscia il paziente. Ulteriori analisi non hanno mostrato presenza di retrovirus endogeni suini.
“Questo piccolo passo che abbiamo fatto oggi rappresenta un numero enorme di ore che coprono decenni di ricerca in una moltitudine di campi tra cui la biologia dei trapianti, l’immunologia e l’ingegneria genetica. Inoltre, i rapidi progressi nella tecnologia di modifica genetica aprono una grande e nuova strada per la modifica genetica della pelle dei suini che non viene respinta e ciò rappresenta uno nuovo capitolo nello standard della cura per i pazienti ustionati e trapiantati”, riferisce Jeremy Goverman, chirurgo dell’MGH impegnato nell’operazione.