
È stato un trattamento di successo quello attuato da un team di ricercatori delle Università di Cambridge e di Leeds che sono riusciti ad invertire la perdita di memoria collegata all’età nei topi, una scoperta che forse potrebbe portare a nuovi trattamenti per questo disturbo neurocognitivo tra i più diffusi nelle fasi avanzate della vita.
Lo studio è stato pubblicato su Molecular Psychiatry[2] ed è incentrato sulle matrici extracellulari delle cellule nervose, una sorta di “impalcatura” che può subire dei cambiamenti i quali possono a loro volta portare alla perdita di memoria con l’avanzare degli anni.[1]
Le reti perineuronali del cervello
Queste strutture cartilaginose si chiamano reti perineuronali che sono alla base della capacità del nostro cervello di adattarsi alle varie situazioni e di apprendere nonché di creare ricordi. Dette reti controllano queste caratteristiche controllando il livello di plasticità celebrale fin dalla tenera età (si calcola che si formino intorno ai cinque anni).
Proprio durante quest’età la plasticità del cervello raggiunge il suo massimo e queste strutture la disattivano parzialmente, cosa che fa sì che il cervello sia più efficiente anche se può contare su un livello di plasticità minore.[1]
Condroitine solfati: cosa sono
Le reti perineuronali contengono di composti denominati condroitine solfati. In particolare uno di questi composti, denominato condroitina 4-solfato, tende a disattivate queste reti e quindi a diminuire il livello di neuroplasticità. Poi ce n’è un altro, denominato condroitina 6-solfato, che Invece la fa aumentare.
Si tratta di un equilibrio, quello tra questi composti, fondamentale per il funzionamento del cervello e per quanto riguarda l’apprendimento la formazione di nuovi ricordi. Con l’avanzare dell’età il funzionamento di questi composti viene meno e quindi possono sussistere problemi di memoria.[1]
Esperimenti su topi
I ricercatori hanno fatto esperimenti su topi molto vecchi che avevano deficit di memoria. Hanno iniettato negli animali un vettore virale capace di ricostituire il livello di condroitina 6-solfato. Ciò ripristinava la memoria dei topi più anziani ad un livello che poteva essere equiparato a quello della memoria dei topi più giovani. Secondo Jessica Kwok, ricercatrice della School of Biomedical Sciences dell’Università di Leeds, una delle scienziate impegnate in questo progetto, si è trattato di “risultati notevoli”.[1]
Effetti forse riproducibili anche sugli umani
James Fawcett, ricercatore del John van Geest Center for Brain Repair dell’Università di Cambridge, altro autore dello studio, ritiene che questi effetti potrebbero avere luogo anche negli esseri umani in quanto queste strutture e i relativi composti sono praticamente identici a quelli dei topi: “Ciò suggerisce che potrebbe essere possibile impedire agli esseri umani di sviluppare la perdita di memoria in età avanzata”.[1]