Pianeti erranti nella galassia, ecco cosa hanno escogitato scienziati per scoprirli

I pianeti erranti potranno essere individuati con il metodo della lente gravitazionale (credito: NASA's Goddard Space Flight Center/CI Lab)

Lo studio degli esopianeti, attualmente, verte solo su quei pianeti che orbitano intorno alle stelle e che dunque fanno parte di un sistema stellare, e molto spesso solo su quei pianeti più grandi, quelli di tipo gassoso, e più vicini alla stessa stella. Questo perché, almeno per il momento, disponiamo di metodi, come quelli del transito, che ci permettono di individuare solo pianeti che sostanzialmente si trovano vicino ad una stella.
Esiste, infatti, una categoria di pianeti altrettanto interessanti per la quale al momento abbiamo qualche difficoltà ad individuare: quelli che non si trovano in un sistema stellare. Gli scienziati però si sono inventati un complesso metodo per scoprirli più agevolmente in futuro.

Pianeti fluttuanti

Tuttavia diversi studi nel corso degli ultimi anni hanno mostrato che, almeno in teoria, dovrebbero esistere anche molti pianeti “fluttuanti”, ossia pianeti che non si trovano in un sistema stellare ma che girovagano per la loro galassia.
Denominati anche “pianeti canaglia”, questi pianeti non sono legati ad alcuna stella e quindi per gli astronomi sono molto difficili da individuare in quanto non emettono luce e non la riflettono perché non c’è nessun astro vicino.

La nuova missione CLEoPATRA

Uno scienziato del Goddard Space Flight Center della NASA, Richard K. Barry, state andando di creare una nuova missione osservativo, denominato Contemporaneous Lensing Parallax e Autonomous TRansient Assay (CLEoPATRA). La missione intende sfruttare il fenomeno del microlensing, un fenomeno speciale che riguarda la gravità e la luce, per scoprire i pianeti erranti.
Un pianeta canaglia potrebbe essere individuato, per esempio, se si allinea, dal nostro punto di vista, con una stella distante sullo sfondo. In questo modo la luce della stella, viaggiando verso di noi, viene in qualche modo deviata dalla gravità del pianeta e si crea una sorta di “lente” tramite la quale un telescopio potrebbe individuare il pianeta

Metodo della parallasse

A tal proposito, per sfruttare una tecnica del genere, sarà utilizzato il telescopio spaziale Nancy Grace della NASA, che verrà lanciato in futuro.
Tuttavia c’è una piccola difficoltà: il telescopio può trovare i pianeti “canaglia” tramite questo metodo ma ci sarebbero difficoltà nel calcolare la distanza del pianeta stesso. I ricercatori intende utilizzare il metodo della parallasse per capire la distanza di questi pianeti, un metodo che però, per essere sfruttato, ha bisogno di due “osservatori” collocati ad una certa distanza.
Proprio per questo gli scienziati vogliono collocare la sonda CLEoPATRA nell’orbita intorno a Marte. Viaggiando intorno al Sole seguendo Marte, CLEoPATRA raggiungerebbe una distanza sufficiente da nostro pianeta per sfruttare il segnale di parallasse del microlensing e quindi ottenere l’informazione mancante, quella relativa alla distanza, un’informazione molto importante.

Video

Telescopio terrestre PRime-focus Infrared Microlensing Experiment (PRIME)

Oltre alla sonda CLEoPATRA, verrà sfruttato anche il telescopio terrestre PRime-focus Infrared Microlensing Experiment (PRIME), che si serve di una particolare fotocamera con quattro rivelatori per stimare la massa dei pianeti rilevati tramite il metodo della microlensing con il Roman e con CLEoPATRA.
“CLEoPATRA sarebbe a grande distanza dall’osservatorio principale, sia dal Roman che da un telescopio sulla Terra”, spiega Barry. “Il segnale di parallasse dovrebbe quindi consentirci di calcolare masse abbastanza precise per questi oggetti, aumentando così il rendimento scientifico”.

Servirà anche l’intelligenza artificiale

Lo scopo finale di un complesso utilizzo di tre dispositivi diversi, uno orbitante intorno alla Terra, uno orbitante intorno a Marte e uno sulla superficie del nostro pianeta, è quello di individuare più pianeti fluttuanti, una tipologia di pianeta per la quale al momento sappiamo ancora molto poco. Non sappiamo neanche se sono comuni o no nella nostra galassia.
A tal proposito, visti i complessi calcoli che andranno effettuati e l’enorme mole di dati che verranno raccolti, il team di Barry si servirà anche di algoritmi di intelligenza artificiale, in particolare uno denominato RApid Machine LearnEd Triage (RAMjET), sviluppato da Greg Olmschenk. “È un tipo di intelligenza artificiale che imparerà attraverso gli esempi. Quindi, gli dai un sacco di esempi della cosa che vuoi trovare e della cosa che vuoi che venga filtrata, e poi imparerà a riconoscere i modelli in quei dati per cercare di trovare le cose che vuoi conservare e le cose che vuoi buttare via”, spiega Olmschenk.

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