Più della metà di ricoverati per COVID-19 soffre di deterioramento cognitivo fino a 4 mesi dopo in piccolo studio

Credito: Dmitriy Gutarev, Pixabay, 5985432

Tra il 59 e il 65% delle persone che sono state ricoverate a seguito di infezione da COVID-19 soffre di disturbi cognitivi definiti come “clinicamente significativi” quattro mesi dopo la dimissione secondo uno studio apparso sulla rivista European Neuropsychopharmacology.[1]
Si tratta, come riferisce il comunicato stesso, di uno studio di piccola portata che ha visto le analisi dei dati di sui 29 pazienti e quindi questo collegamento dovrà essere dimostrato uno studio più ampio.

La ricerca è stata effettuata da un team di ricercatori dell’ospedale universitario di Copenaghen, Danimarca. I ricercatori hanno seguito i 29 pazienti, ricoverati nello stesso ospedale per COVID-19, fino a quattro mesi dopo la dimissione. Durante questo periodo sono stati sottoposti anche ad una serie di test cognitivi, alcuni dei quali erano utili per valutare l’apprendimento verbale e la memoria nonché la memoria di lavoro, la fluidità verbale, la velocità di elaborazione e la funzione esecutiva.
Una percentuale tra il 59 e il 65% di questi pazienti sembrava mostrare un deterioramento di queste prestazioni cognitive rispetto ai soggetti del gruppo di controllo fatto da soggetti buona salute abbinati per età e livelli di istruzione. Le capacità che vedevano il maggior deterioramento erano l’apprendimento verbale e la flessibilità mentale.

Secondo quanto riferiscono gli stessi ricercatori, si tratta del primo studio che prende in considerazione e analizza i disturbi cognitivi a seguito di un ricovero ospedaliero per COVID-19. Secondo i ricercatori il deterioramento delle suddette funzioni cognitive era collegato ad una minore funzione lavorativa e ad una più bassa qualità della vita. Gli stessi ricercatori ammettono che si tratta di uno studio piccolo e non longitudinale.
Sempre secondo i ricercatori, queste difficoltà cognitive potevano essere collegate a livelli di dimero più alti nel corso dell’infezione. Si tratta di un marcatore della coagulazione del sangue nei polmoni. I ricercatori hanno inoltre trovato collegamenti tra questi difetti cognitivi e il grado di disfunzione polmonare quattro mesi dopo le dimissioni. Secondo i ricercatori ciò potrebbe stare a significare che l’apporto di ossigeno verso il cervello probabilmente è stato intaccato nel corso dell’infezione, qualcosa comunque ancora da confermare.[1]

Questo studio “suggerisce anche che la cognizione e le capacità intellettuali dovrebbero essere ulteriormente studiate, soprattutto nel contesto della sindrome COVID-19 post-acuta”,[1] come spiega Eduard Vieta, editore di European Neuropsychopharmacology, la rivista su cui è stato pubblicato lo studio.[2]

Note e approfondimenti

  1. AlphaGalileo > Item Display (IA)
  2. Cognitive impairments four months after COVID-19 hospital discharge: Pattern, severity and association with illness variables – ScienceDirect (IA) (DOI: 10.1016/j.euroneuro.2021.03.019)
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