
Un potente erbicida che è molto utilizzato in Australia per rendere più efficienti le colture di cereali e per contrastare la formazione delle erbacce, danneggia fortemente la salute dei marsupiali, soprattutto canguri e wallaby (quest’ultimo è una sorta di canguro in miniatura che ha dimensioni inferiori rispetto ai canguri e che fa parte di un’altra specie).
Secondo gli studiosi dell’Università di Melbourne l’atrazina, un erbicida vietato nell’Unione Europea già da molti anni, avrebbe impatti profondi sulla riproduzione di questi marsupiali.
I ricercatori, che hanno pubblicato anche uno studio su Reproduction, Fertility and Development, riferiscono che questo erbicida può causare anomalie gravi nel sistema riproduttivo degli esemplari maschi. In sostanza può portare alla sterilità e, nei wallaby della specie Macropus eugenii, anche alla riduzione della lunghezza del pene
Gli stessi ricercatori hanno inoltre scoperto che nelle rane può portare persino all’inversione del sesso da maschio e femmina. Lo riferisce Andrew Pask, uno dei ricercatori impegnati nello studio.
Ma la cosa si aggrava ancora di più per i marsupiali in quanto i neonati e i giovani completano lo sviluppo nel marsupio delle madri. Queste ultime trasmettano, in maniera inconsapevole, queste tossine di natura assimilate dall’ambiente attraverso il loro latte materno ai piccoli.
È il primo studio che trova un forte impatto causato dai pesticidi nei confronti dei marsupiali. Gli stessi ricercatori riportano che le concentrazioni di questo erbicida sono allarmanti nei corsi d’acqua dello Stato di Victoria e di quelli della Tasmania.
I canguri e i wallaby di solito mangiano i raccolti irrorati da questi pesticidi e quindi acquisiscono praticamente direttamente il veleno. Oltre che canguri, wallaby e rane questo pesticida colpisce anche altri animali come ratti, anfibi, rettili e anche i pesci.
“Le sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino, come l’atrazina, hanno la capacità di influenzare lo sviluppo e aumentare la suscettibilità alle malattie”, spiega Laura Cook, l’autrice principale dello studio.