
Uno dei metodi maggiormente messi in atto dagli scienziati per cercare la vita extraterrestre è quello di studiare i resti di meteoriti che impattano sulla Terra. Questi resti, infatti, potrebbero contenere fossili di vita di tipo microbico. Tuttavia, come rileva un interessante articolo apparso su The Conversation, questi fossili possono troppo facilmente ingannare gli stessi scienziati.
L’autore dell’articolo, Alexander Brasier, professore di geologia all’Università di Aberdeen, parla infatti dei cosiddetti “pseudofossili”, ossia quelle tracce o strutture in rocce o minerali che possono assomigliare a fossili di una forma di vita, solitamente un microrganismo.
L’inganno è infatti dietro l’angolo anche se si prende in considerazione la sola ricerca di forme di vita del passato sulla Terra.
Sul nostro pianeta la vita è vecchia più di 3 miliardi di anni (anche quattro secondo alcune teorie) e questo vuol dire che le tracce trovate dagli stessi scienziati non sempre possono avere connotati ottimali per un eventuale identificazione tanto che spesso, soprattutto quando si parla di forme di vita microbica, è difficile anche capire se si tratta di forme di vita o no.
Il discorso vale naturalmente anche per ricerca di fossili di microbi extraterrestri sui resti di meteoriti. Già nel 1996 un gruppo di scienziati della NASA fu tratto in inganno da alcune microstrutture trovate in un meteorite (denominato ALH 84001 e probabilmente proveniente da Marte, quello in foto) che, di primo acchito, furono scambiate come fossili di forme di vita extraterrestre.
Ulteriori ricerche svolte in seguito hanno poi suggerito che quelle forme di natura tubolare non potevano essere considerate fossili di natura biologica.
Il punto è, come mostra un recente studio (vedi il secondo link più sotto), che le forme di vita microbica solitamente non hanno parti del corpo dure che possano fossilizzarsi facilmente, come ad esempio le ossa o i denti degli animali.
Molto spesso, anche per quanto riguarda la ricerca di vita microbica antica terrestre, gli stessi scienziati incorrono in “pseudofossili”, come può essere un granello a forma di microbo o una fenditura nella roccia che richiama alla struttura di microbi già conosciuti.
In particolare il nuovo studio mostra che non tutti i filamenti tubolari di natura cava possono essere considerati microfossili biogenici. Ciò capita soprattutto con microfilamenti di ossido di ferro. Questi ultimi, secondo Sean McMahon, l’autore dello studio, possono essere infatti il risultato dell’azione di fluidi che reagiscono a livello chimico con il substrato.
La sensazione è, dunque, che trovare forme di vita microbica sui meteoriti, così come i resti di vita microbica passata sulle rocce marziane, forse non è poi così tanto più facile o promettente degli altri metodi attuati per cercare la vita extraterrestre, come quello, ad esempio, messo in atto dalla ricerca di tipo SETI che scandaglia le onde radio.