
I quasar, considerabili come la fonte di luce più potente dell’universo, almeno considerando quelle che conosciamo, sono abbastanza rari e per questo anche difficili da individuare. La teoria principale che li riguarda ritiene che siano il risultato dei buchi neri supermassicci si trovano al centro delle galassie e che la luminosità sia causata dal vorticoso ruotare, nel cosiddetto “disco di accrescimento”, di gas e materiali intorno al buco nero stesso prima di essere risucchiati.
Esistono “quasar dall’aspetto mutevole, ossia quasar la cui luminosità varia in maniera abbastanza massiccia. Gli scienziati non sono ancora perché i livelli di luminosità di questi particolari quasar oscillino in questo modo ma un nuovo studio, realizzato da astrofisici dell’Università di Bath, descrive un nuovo metodo per individuare maniera più facile. Con questo nuovo metodo, come descrive il comunicato apparso sul sito della stessa università, sarà più agevole creare un vero e proprio censimento dei buchi neri supermassicci al centro della galassia.
La cosa strana dei quasar dall’aspetto mutevole sta proprio nel loro repentino cambiamento di luminosità che può avvenire in tempi molto brevi, circa uno dei nostri anni. Dato che il disco di accrescimento intorno a questi buchi neri è molto grande tanto da oscurare buona parte dell’emissione luminosa del quasar, ci si chiede come sia possibile un cambiamento di luminosità del genere.
In precedenza per identificare questi quasar dall’aspetto mutevole si utilizzavano metodi basati sulla variabilità delle lunghezze d’onda, un metodo denominato “variabilità fotometrica”. I ricercatori hanno ideato nuovo metodo basato proprio su questa tecnica che però riesce a individuare anche i quasar con luminosità inferiore. Si tratta di un metodo che intercetta anche i più piccoli intervalli di lunghezze d’onda, cosa che permette di scoprire quasar dall’aspetto mutevole non precedentemente rilevabili.
“Abbiamo preso un set di dati precedente e applicato il nostro nuovo metodo per vedere se potevamo identificare nuovi quasar mutevoli che altri avevano perso. Questo ci ha fornito una serie più ampia di quasar dall’aspetto mutevole per ulteriori studi e ha confermato che la nostra metodologia era più sensibile di altre, il che è stato fantastico. Ciò mostra che la nostra metodologia è più sensibile a una luminosità più debole”, spiega Bart Potts, ex studente a Bath ed uno degli autori principale dello studio pubblicato su Astronomy & Astrophysics.[1]