Un gruppo di ricercatori ha scoperto che un farmaco utilizzato per la pressione sanguigna, la nilvadipina, può rivelarsi molto utile per trattare la progressione del morbo di Alzheimer.
In particolare questo farmaco sembra aumentare il flusso sanguigno nel cervello facilitando il processo della memoria e l’apprendimento nelle persone con il morbo di Alzheimer e questo senza influenzare altre parti del cervello.
La ricerca, apparsa su Hypertension, una rivista dell’American Heart Association, pone dunque in primo piano la questione riguardante il flusso ematico cerebrale nei pazienti con Alzheimer. Con questa patologia di solito il flusso di sangue del cervello diminuisce fino al punto di intaccare i normali processi celebrali e cognitivi.
A sua volta la nilvadipina è usata per trattare l’ipertensione, una condizione in cui la pressione del sangue nelle vene è troppo alta.
I ricercatori hanno condotto esperimenti su 44 partecipanti con malattia di Alzheimer a vari stadi, da lieve a moderata. Utilizzando anche sostanze placebo, oltre alla nilvadipina, nel corso di sei mesi i ricercatori si sono accorti, utilizzando la risonanza magnetica al termine dell’esperimento, che il flusso di sangue in determinate regioni cerebrali, in particolar modo verso l’ippocampo, era aumentato del 20% in quei pazienti che avevano assunto nilvadipina rispetto al gruppo di controllo.
I flussi di sangue verso le altre regioni del cervello restavano invece invariati.
Si tratta di uno studio con un numero di soggetti troppo piccolo affinché si possa parlare già di un farmaco ma, secondo Jurgen Claassen, ricercatore presso la Radboud Universiteit Nijmegen, autore principale dello studio, si tratta di un trattamento promettente per mantenere livelli di sicurezza della salute del cervello o perlomeno rallentare la velocità del declino della memoria nei pazienti con Alzheimer.