Esaminare l’osso distale dell’omero (gomito) può essere una tecnica migliore rispetto a quelle esistenti per identificare il sesso nei resti scheletrici nelle popolazioni non asiatiche: è questo il risultato a cui è giunto uno gruppo di ricercatori della Scuola di Medicina dell’Università di Boston (BUSM).
Attualmente gli antropologi forensi determinano il sesso dei resti di una persona, quando questi resti sono rappresentati solo dallo scheletro, dalla morfologia del bacino o del cranio oppure dalle misure delle ossa più lunghe.
Tuttavia, come spiega Sean Tallman, professore di anatomia e neurobiologia alla BUSM, molto spesso queste aree sono mancanti oppure danneggiate a causa di traumi, di scarsa conservazione o di altre cause. In molti casi, dunque, è sostanzialmente impossibile esaminare queste aree dello scheletro con un buon grado di precisione
I ricercatori hanno esaminato più di 600 scheletri, 198 di femmine e 418 di maschi, di una collezione collocata a Khon Kaen, in Thailandia. Nel corso delle analisi, come spiega lo stesso Tallman, i ricercatori scoprivano che quando i metodi “classici” di solito sviluppate su popolazioni non asiatiche venivano applicati a questi scheletri, questi stessi metodi funzionavano male.
La maggior parte dei metodi attualmente in uso per determinare il sesso attraverso i resti di uno scheletro, infatti, sono stati creati e adattati studiando gli scheletri delle popolazioni del Nordamerica alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo.
Proprio per questo, cercando nuovi metodi, i ricercatori hanno scoperto che nei moderni individui thailandesi la misura dell’omero distale differisce tra le femmine e i maschi e che ciò può essere usato come metodo migliore per determinare il sesso. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Forensic Sciences.