
Un nuovo studio mostrerebbe, a detta degli stessi autori, che la durata della vita e la salute della stessa risulterebbero concetti geneticamente separati.
Secondo Arjumand Ghazi, professore di pediatria e biologia all’università di Pittsburgh, autore senior dello studio, in una visione tesa ad allungare la vita risulterebbe più rilevante cercare di modificare, allungandolo, il periodo nella vita in cui ci si trova in salute ottimale.
Per spiegare il concetto, lo stesso ricercatore fa ricorso ad un racconto mitologico: “La dea Eos si innamorò di un mortale, Titone, e chiese che gli fosse concessa la vita eterna, ma dimenticò di chiedere l’eterna giovinezza: Titone visse per sempre, ma come un vecchio fragile e immobile.”
Ritornando alla ricerca, gli scienziati hanno posto la propria attenzione su una proteina denominata TCER-1, presente nel verme Caenorhabditis elegans, un microrganismo studiato già da molti anni in relazione ai tentativi di comprendere l’invecchiamento negli esseri umani.
Già un lavoro precedente aveva dimostrato che questa proteina può promuovere la longevità in questi esseri viventi oltre ad essere molto importante per suo livello di fertilità.
Tuttavia rimuovendo TCER-1 dal corpo dei vermi i ricercatori hanno scoperto che risultavano più resistenti alle malattie o a condizioni ambientali più difficili.
Ad esempio quando venivano infettati dai batteri, sopravvivevano più a lungo rispetto ai vermi in cui non erano stati eliminati livelli di TCER-1.
Inizialmente i ricercatori che devono aver fatto un errore nella procedura, come riferisce Francis Amrit, l’autore principale dello studio. Tuttavia hanno ripetuto la stessa procedura di rimozione della proteina più volte ed hanno capito che TCER-1, almeno nel corpo dei Caenorhabditis elegans, sopprime la resistenza immunitaria.
Ciò avviene, però, solo quando i vermiciattoli sono ancora giovani e capaci di riprodursi. Come spiega lo stesso Amrit, questa proteina, per far propagare più efficientemente la specie, devia parte delle risorse del corpo alla gestione dello stress relativo alla riproduzione.
Al momento è ancora presto per capire l’eventualità riguardante eventuali applicazioni di questa scoperta sugli esseri umani ma lasciando volare l’immaginazione si potrebbe pensare, per esempio, a una pillola che nelle donne che non vogliono più avere figli potrebbe deviare le risorse utilizzate per la riproduzione per una migliore salute generale.