
Analizzando i cambiamenti per quanto riguarda le intensità delle piogge monsoniche degli ultimi 900.000 anni, un team di ricercatori ha collegato questi dati con le fluttuazioni dell’anidride carbonica nell’atmosfera, con il volume del ghiaccio continentale e con l’importazione dell’umidità dall’emisfero meridionale dell’oceano Indiano, tutte caratteristiche che possono influenzare il clima globale.
Nello studio, pubblicato su Science Advances, viene confermato che esiste un collegamento tra questi fattori e che, con l’aumento della CO2 nell’atmosfera e delle temperature medie globali si avranno stagioni dei monsoni sempre più massicce.
Steven Clemens, professore di scienze geologiche della Brown University e uno degli autori principali dello studio, si tratta di risultati che suggeriscono che la stessa CO2 nell’atmosfera e che il riscaldamento globale ad essa collegato sono state le cause principali delle fasi monsoniche più intense del passato, qualcosa che supporta le previsioni riguardanti le fasi monsoniche del futuro. In pratica le precipitazioni saranno più intense con l’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera e con l’aumento di riscaldamento globale e quindi delle temperature medie globali.
I monsoni svolgono un ruolo importantissimo per centinaia di milioni di persone, in particolare per quelle che vivono nell’area dell’Asia meridionale del sud-est asiatico. L’acqua piovana che questi fenomeni climatici producono, in particolare nel corso dell’estate, scorre dal subcontinente indiano fino al Golfo del Bengala. Questo stesso deflusso crea una sorta di strato, sopra l’acqua di mare, più diluito proprio nella baia. Questo strato più diluito scorre sopra gli strati più densi e più salati sottostanti ed è un habitat per tantissimi microrganismi tra cui i foraminiferi planctonici. Questi ultimi sono importanti perché usano i nutrienti presenti nell’acqua per far crescere i loro gusci, fatti sostanzialmente di carbonato di calcio.
Quando questi esseri viventi muoiono, questi gusci si depositano sui fondali restando intrappolati nei sedimenti. Proprio analizzando i fossili di questi sedimenti formatisi nel lontano passato, si può capire il livello di salinità dell’acqua sovrastante in una determinata epoca. Questa informazione, a sua volta, è stata usata dai ricercatori per capire la variazione delle quantità di pioggia di epoca in epoca.
Inoltre questo deflusso di acqua dolce che forma lo strato sopra l’acqua marina del Golfo del Bengala trasporta con sé anche vari sedimenti del continente e anche questi ultimi possono essere analizzati per capire livelli di intensità della pioggia.
“L’idea è che possiamo ricostruire le precipitazioni nel tempo usando questi proxy, e poi guardare altri dati paleoclimatici per vedere quali potrebbero essere i fattori importanti dell’attività dei monsoni”, spiega Clemens. “Questo ci aiuta a rispondere a importanti domande sui fattori che guidano i monsoni. Sono principalmente guidati da fattori esterni come i cambiamenti nell’orbita terrestre, che alterano la quantità di radiazione solare dal sole, o sono fattori interni al sistema climatico come la CO2, volume di ghiaccio e venti che trasportano umidità sono più importanti?”[1]
La risposta che i ricercatori hanno ottenuto questo studio è che le fasi più intense delle piogge e dei venti monsonici tendono a seguire i picchi di CO2 nell’atmosfera e i punti più bassi per quanto riguarda il volume del ghiaccio a livello globale. In ogni caso anche e i cambiamenti dell’orbita terrestre che possono cambiare il quantitativo di luce solare che arriva su un determinato emisfero rappresentano una causa solo che questi cambiamenti orbitali da soli non possono determinare i cambiamenti dell’intensità dei monsoni che vediamo è che abbiamo visto in passato. In sostanza, l’intensità dei monsoni dipende anche, e forse soprattutto, dal riscaldamento causato dalla anidride carbonica nell’atmosfera.