
Entro la fine dell’anno salmoni geneticamente modificati potrebbero essere serviti sulle tavole degli americani.
In uno stabilimento dell’Indiana si stanno coltivando in apposite vasche migliaia di uova di salmone che sono state modificate a livello genetico onde permettere al corpo, dopo la schiusa, di poter crescere di più, almeno fino a 4,5 kg per ogni esemplare, e soprattutto di farlo più velocemente.
I salmoni modificati prodotti dalla AquaBounty potrebbero essere i primi animali geneticamente modificati approvati per il consumo da parte degli esseri umani negli Stati Uniti.
Il nuovo salmone è stato “creato” iniettando nel salmone atlantico il DNA di altre specie di pesci.
Questo nuovo DNA permetterà al salmone di crescere più velocemente e di arrivare alla maturazione in circa 18 mesi, una velocità più che doppia rispetto a quella del salmone “tradizionale” .
Naturalmente non mancano le campagne da parte di gruppi di consumatori per fare pressione sulla AquaBounty onde convincerla a non mettere in vendita questo pesce che potrebbe finire, oltre che nei ristoranti e nelle mense, anche sugli scaffali dei supermercati.
Questa notizia mostra probabilmente anche gli effetti del nuovo ordine esecutivo firmato da Trump che semplifica molto le norme per quanto riguarda la produzione di piante e animali geneticamente modificati.
Le nuove norme permetteranno alle aziende di poter armeggiare con più facilità con il DNA delle piante e degli animali onde creare nuovi “prodotti” da proporre per il consumo dei clienti.
Oramai il confine che specifica cosa è e cosa non è un organismo geneticamente modificato si fa sempre più labile.
Quel che è sicuro e che i consumatori vogliono almeno l’etichettatura sulla confezione che indichi chiaramente che si tratta di alimenti geneticamente modificati. Ma ancora molti dibattiti e cause sono in corso negli Stati Uniti riguardo ai termini che le aziende dovrebbero utilizzare proprio per indicare che l’alimento è stato geneticamente modificato.
Ciò non sarebbe comunque un problema per i ristoranti, per le mense e per tutte le strutture simili che potrebbero non essere costretti a fornire questa informazione ai clienti a tavola.
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