Un ragno che utilizza una sorta di bolla d’aria per rimanere sott’acqua anche per 30 minuti e quindi per rimanere nascosto dei predatori: è quanto hanno scoperto alcuni ricercatori della Binghamton University, come riferisce un comunicato presente sul sito dell’istituto. La ricerca, condotta dall’assistente professoressa di scienze biologiche Lindsey Swierk, si è concentrata su un ragno tropicale denominato Trechalea extensa.
Trechalea
I Trechalea sono ragni che possono essere trovati soprattutto nelle Americhe. Il genere fu identificato per la prima volta nel 1848 e da allora sono state scoperte solo poche specie di cui l’ultima, Trechalea tirimbina, identificata in Costa Rica nel 2012.
Come fa intendere la stessa Swierk, si tratta di una scoperta eccezionale anche perché per molti ragni entrare nell’acqua, e dunque bagnarsi e rischiare di ritrovarsi ad una temperatura troppo fredda, risulta rischioso per la vita.
Ragno può trascorrere fino a 30 minuti sott’acqua
Con le sue osservazioni la ricercatrice ha scoperto che il ragno può trascorrere fino a 30 minuti sott’acqua. Incuriosita ne ha studiato il comportamento e ha scoperto che il ragno crea una sorta di “pellicola” d’aria che avvolge tutto il corpo. Quando si trova sott’acqua, con intorno questa pellicola d’aria, il corpo del ragno sembra essere tenuto fermo imposizione da dei “peli idrofobici”, una configurazione che lo fa sembrare come essere “immerso nell’argento”, spiega la ricercatrice.
Pellicola d’aria serve anche per ridurre impatto termico
I ragni, che naturalmente respirano aria, acquisiscono quest’ultima proprio tramite la pellicola ma la stessa pellicola probabilmente, spiega il comunicato, serve anche per ridurre l’impatto termico.
Secondo la ricercatrice questa scoperta mostra, ancora una volta, che per molte specie sfuggire al predatore significa anche fare tutto il possibile per gestire il rischio, un sottile equilibrio tra il non rimanere vittime del proprio nemico e il non subire troppi danni dalla tecnica messa in atto per ottenere questo scopo. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Ethology.[1]