
I ricercatori dell’Università della Città di Osaka hanno scoperto che il ceppo di un batterio conosciuto perché causa l’acne, diffuso sulla pelle anche delle persone senza acne, può rilevarsi positivo per la stessa pelle in quanto sembra migliorare il suo livello di resistenza. Lo studio, svolto sui nematodi, è stato reso possibile dai miglioramenti nelle tecnologie di sequenziamento e genetici di vari ceppi di batteri avutisi negli ultimi anni.[1] Lo studio è disponibile su Microbiology Spectrum
.[2]
Batterio Cutibacterium acnes
Grazie a queste tecnologie i ricercatori hanno scoperto che un determinato ceppo del batterio Cutibacterium acnes, che è uno di quelli che causa l’acne, migliorava la difesa da parte della pelle dei nematodi dai batteri patogeni che causano infezione tra cui lo Staphylococcus aureus.
Ayano Tsuru, studente laureato dell’Università giapponese e autore principale dello studio, spiega che il C. acnes probabilmente riesce a proteggere la pelle dall’invasione dei batteri patogeni inibendoli.[1]
Esperimenti sul Caenorhabditis elegans
I ricercatori hanno svolto gli esperimenti sul Caenorhabditis elegans, un piccolo verme nematode di 1 mm di lunghezza molto facile da studiare per la sua semplicità di costituzione interna (proprio per questo è diventato uno dei soggetti animali più utilizzati in laboratorio).
I ricercatori hanno valutato gli effetti di diversi ceppi del batterio Cutibacterium acnes, isolati da campioni di pelle umana, sui nematodi. In particolare un ceppo, l’RT6, a differenza degli altri ceppi, non accorciava la vita del nematode. Hanno inoltre fatto altri esperimenti sui nematodi infettati dallo Staphylococcus aureus e anche in questo caso il ceppo di batterio prolungava la vita dei nematodi infetti.[1]
Alcuni ceppi attivavano geni collegati all’immunità
Ulteriori analisi di sequenziamento dell’RNA mostravano poiché questi ceppi di Cutibacterium acnes attivavano particolari geni collegati all’immunità e alla difesa biologica nel nematode, una sorta di attivazione della resistenza allo stafilococco infettivo.
Secondo Eriko Kage-Nakadai, autore consulente dello studio, questi risultati mostrano che quando si fanno valutazioni degli effetti biologici dei batteri sul corpo, anche quello umano, si debbono fare differenziazioni in base al ceppo.[1]